martedì 30 luglio 2013

Il Gioco del Re Corvo



“Pedina d’oro su casella blu notte”, disse il giovane prima di battere per tre volte le mani. Uno dei corvi appollaiati sulla balaustra di marmo verde emise un gracchio, e un altro pennuto poco distante si alzò in volo, volteggiando tre volte sulla complessa scacchiera colorata prima di ridiscendere dolcemente e tornare alla sua posizione originaria.
Virysal, detto il Re Corvo, sorrise tendendo le labbra morbide ed esangui.
“Una mossa astuta – commentò con voce soave – molto ben giocata. Ma aspetta di vedere che cosa ho in serbo per te.”
Il ragazzo sorrise, per nulla intimorito dalla sottile minaccia del Re Corvo. Il suo aspetto, dopotutto, per quanto potesse apparire meraviglioso e disturbante, era cosa a cui il suo giovane compagno di giochi si era abituato nel corso degli anni. Le differenze tra i due, sia fisiche che caratteriali, erano enormi. Eppure il Re Corvo sapeva che non avrebbe potuto trovare un compagno e un amico migliore in tutta la sua esistenza.
Michel, quell’astuto giovane dai capelli color oro e pieno della bellezza efebica di un mortale in età preadolescenziale, rappresentava tutto ciò che c’era di meraviglioso nel sole e nella vitalità. I suoi occhi erano sempre all’inseguimento di ogni più piccolo dettaglio, il suo sorriso trasmetteva lo stesso calore dorato di un campo di grano in un pomeriggio d’estate, le sue movenze erano delicate e allo stesso tempo decise.
Ben diverso era l’aspetto di Virysal: nemmeno lui poteva essere certo di quanti anni avesse, perché nel suo mondo il tempo non è misurato in anni, ma era certo di essere molto, molto vecchio. A dispetto di ciò, il suo corpo non mostrava il minimo segno di decadimento, ed era ancora forte e longilineo come quello di un ragazzo alla soglia dei vent’anni. Le similitudini con un mortale però si fermavano qui. Il Re Corvo aveva pelle argentea che nell’oscurità si illuminava di un alone livido, unghie affilate e smaltate di nero, lunghe orecchie appuntite a formare degli affusolati archi sui lati della testa. La sua chioma, il suo orgoglio, era una cascata di piume di corvo nere che ricadevano dolcemente sulle spalle, e i suoi occhi, all’ombra della grottesca maschera da corvo che portava sempre in volto, erano del colore scintillante dell’oro illuminato dal fuoco.
Virysal comprendeva e condivideva l’intera gamma delle emozioni umane e, come molti membri della sua razza, le esagerava portandole agli eccessi. Quando era felice, la sua felicità faceva fiorire tutte le piante della sua dimora fatata e gracchiare di gioia tutti i corvi che la infestavano, e quando era infuriato persino i boschi che circondavano i suoi terreni diventavano aggressivi, con alberi e piante che si animavano per dilaniare ogni essere vivente in preda ad una furia omicida.
Ma era molto tempo che il Re Corvo non provava più nulla di simile: più i giorni andavano avanti, più la solitudine e la tristezza si facevano largo nel suo cuore, ricoprendolo letteralmente di ghiaccio.
Per quanto possibile, cercava di non mostrare quelle emozioni a Michel, ma Virysal sapeva che la natura gli aveva donato un’emotività talmente forte da non essere in grado di contenerla, e quando persino i muri della sua fortezza piangevano, anche Michel capiva che c’era qualcosa che non andava.
 “Foglia di acero d’argento su nastro d’edera – disse il Re Corvo – provando un forte senso di rimpianto. I corvi accettano la mossa?”
Cinque corvi gracchiarono all’unisono, poi tacquero. Il Re Corvo annuì con soddisfazione.
“Sta di nuovo a te, Michel. Pensa bene, abbiamo tutto il tempo.”
“Lo so bene, padrone”, rispose lui scrutando la scacchiera carica di pedine di ogni genere, come piccole statuine d’argento, anelli, foglie, sassi e persino insetti fatati vivi e vegeti, che si muovevano come impazziti saltando da una casella all’altra. Anche quello faceva parte del gioco.
“Non sono il tuo padrone, Michel. Io sono tuo amico.”
“Hai ragione, scusami. Non devo chiamarti così. Tu sei l’unico amico che ho.”
Virysal osservò il ragazzo con attenzione. In principio non capiva le menzogne, non ne era in grado. Il suo popolo non era in grado di mentire: era una cosa che fisiologicamente non erano in grado di fare, così era loro abitudine cercare di aggirare e nascondere la verità. Ma dire una menzogna deliberatamente, questo mai. Prima di trovarsi a tu per tu con i mortali, il Re Corvo non sapeva nemmeno che cosa fosse la falsità. Da quando Michel era con lui, però, stava diventando piuttosto abile a riconoscerla. Non era ancora in grado di mentire, e probabilmente non sarebbe mai stato in grado, ma cominciava a capire quando il suo amico e prigioniero lo faceva.
E in quel momento lo stava facendo: Michel non pensava veramente che lui fosse un amico, ma un padrone e un carceriere.
Eppure Virysal non riusciva a capire perché Michel provasse sentimenti simili nei suoi confronti. Non solo non gli aveva mai fatto nulla di male, ma gli aveva permesso di vivere con lui, nella sua dimora fatata, un luogo che ogni mortale avrebbe trovato meraviglioso e incredibile.
Che importava che l’avesse prelevato con la forza dalla sua casa, nel cuore della notte, mettendo al suo posto un burattino di paglia, pezza e piume di corvo? La sua famiglia non si sarebbe mai accorta della differenza, per cui se temeva che loro potessero provare dispiacere per la sua scomparsa, si sbagliava di grosso. Gli era stata destinata una vita umile e priva di magia, tutto il giorno a spaccarsi la schiena nei campi al seguito di animali puzzolenti, a sporcarsi con la terra, a mangiare solo il frutto del proprio lavoro.
Il Re Corvo proprio non capiva i mortali. Perché faticare e soffrire a quel modo, se la frutta cresceva spontaneamente dal terreno senza bisogno che nessuno la coltivasse? Se gli stessi animali della foresta si presentavano ad ogni tramonto, grattando contro le porte delle cucine, e chiedendo ai cuochi di tagliar loro il collo perché potessero essere cucinati e serviti ad ogni tavola?
Le cose non funzionavano forse così anche nel mondo dei mortali?
Virysal aveva salvato l’astuto Michel da una vita di sofferenza e, ancor più triste, mortale, portandolo in un mondo dove il tempo non aveva significato. L’unica cosa che chiedeva in cambio era che il ragazzo giocasse con lui.
Il Re Corvo aveva centinaia e centinaia di giochi nel suo castello. Dai più semplici giochi di guerra con fanti e alfieri di carne, pronti a far colare sangue sul campo di battaglia, che Michel chiamava scacchi viventi, a quelli più complessi, come ciò a cui stavano giocando ora, chiamato nove corvi. Era un passatempo inventato dallo stesso Virysal, e lui ne era molto soddisfatto. Lo scopo era far gracchiare contemporaneamente i nove corvi che assistevano alla partita compiendo determinate mosse. Non bisognava però dimenticarsi delle regole: i colori metallici andavano sui colori cromatici, foglie e piante dovevano sempre incrociarsi, un volteggio di corvo valeva come un gracchio meno il numero di insetti sulla tavola che non erano ancora feriti. Poi bisognava ricordarsi che se i coleotteri cadevano sulla schiena allora i metalli si invertivano, che le regine erano immobili a meno che il vento non muovesse le campanelle d’argento e che se entrambi i soli tramontavano contemporaneamente tutte le pedine dovevano essere capovolte.
E queste erano solamente le regole principali, perché il Re Corvo si era divertito a inventare migliaia di regole e sotto regole, alcune talmente intricate da contraddirsi a vicenda, ma che senso aveva che il gioco fosse perfetto? Se lo fosse stato, non ci sarebbe più stato divertimento nel perfezionarlo.
“Cimice bianca salta la collina di terra, e si posiziona sotto il gigante di corno”, disse Michel. Sei corvi gracchiarono, due volteggiarono per cinque volte. Non era ancora abbastanza, ma sembrava essere molto vicino alla vittoria.
Il Re Corvo osservò la scacchiera, meditando sul da farsi. Osservò gli occhi attenti di Michel e improvvisamente gli tornò in mente quando al posto del giovane mortale c’era un’altra compagna di giochi.
Fin dalla loro nascita erano stati sempre insieme, destinati a diventare compagni e regnanti di quella terra meravigliosa e terribile. Fratello e sorella, re e regina, ombra e luce.
Era da molto tempo che non pensava più alla Regina Sathoyla.
Come Michel, anche lei era l’opposto di Virysal. La sua pelle era fatta della stessa luce solare, i suoi occhi brillavano come acqua illuminata dalla luna, le rose fiorivano al suo passaggio. Era dotata di un’audacia e un intelletto sopraffino, paragonabile solamente a quello del Re Corvo. Quando cantava, le stelle risplendevano più luminose, e quando era triste la nebbia avvolgeva l’intera vallata.
Con lei, Virysal aveva giocato molto, ma erano diversi tipi di giochi: erano duetti d’amore e discordia, momenti di estremo piacere ed estrema tristezza, balli, feste e dolci momenti di pace. In termini mortali, avevano trascorso insieme millenni. Sapeva addirittura che nelle leggende popolari dell’altro mondo c’erano canti e balli che parlavano di loro due e del loro supremo amore per tutto ciò che li circondava.
Eppure, con il tempo, il Re Corvo iniziò a farsi sempre più inquieto. Per qualche motivo che non riusciva a comprendere, il sorriso di Sathoyla non lo saziava più come una volta. Le tenere passeggiate nei giardini di rose di vetro non trasmettevano più quella sensazione di cui il Re era ghiotto.
Era come se la luce emanata dalla sua regina si stesse affievolendo sempre più, mano a mano che gli istanti passavano. Virysal non riusciva a comprendere perché ciò stesse accadendo. Si sentiva in colpa, perché credeva che tutto ciò fosse anche sua infame mancanza, ma allo stesso tempo si sentiva inadatto ad affrontare la situazione.
Presto iniziarono a vedersi sempre meno, a scambiarsi sempre meno parole, fino a che Virysal iniziò a dedicarsi alla ricerca di un piacere di tipo diverso, che avrebbe potuto ridare un po’ di luce alla sua esistenza immortale.
Il gioco, qualunque esso fosse, gli forniva questo piacere. Dal principio tentò di coinvolgere la stessa regina, ma questa aveva perso quasi completamente la sua luminosità interiore, e la sua sola presenza lo infastidiva. Cercò a lungo fra i suoi servitori qualcuno che fosse abbastanza capace da aiutarlo, ma riusciva a battere facilmente chiunque lo sfidasse: come era abituato a passioni estreme nel suo rapporto con Sathoyla, non traeva alcuna soddisfazione da una facile vittoria.
Fu solo dopo numerosi tentativi che si abbassò a cercare qualcuno nel mondo mortale. Vagò a lungo sulla terra, assumendo varie forme e parlando con ogni uomo e donna per trovare qualcuno di adatto. Quel qualcuno era Michel, e quando lo vide se ne innamorò perdutamente, tanto da portarlo con sé fino alla sua dimora.
Da quando era tornato e aveva sottoposto il giovane mortale a tutti i suoi giochi, non aveva mai più rivisto Sathoyla. Sapeva che era ancora lì da qualche parte, tra le mura della sua dimora, ma essa aveva dimensioni talmente sconfinate che due persone avrebbero potuto viverci per secoli mortali senza mai incontrarsi. Da quel momento, però, la nebbia non era mai scivolata via dai boschi che li circondavano in ogni direzione.
Virysal fece cadere tre piume nere sulla scacchiera con un rapido gesto della mano, aggiungendo così tre pedine al gioco. Una manovra molto rischiosa. Una delle piume nere andò a posarsi su un grillo che, spaventato, balzò fuori dall’area di gioco. Uno dei corvi gracchiò, mentre gli altri non sembravano minimamente impressionati.
“Brutta mossa, amico”, commentò Michel gelidamente. Il Re Corvo percepì anche delle tracce d’ansia nella sua voce.
Si chiese immediatamente come ciò fosse possibile. Che Michel avesse paura di qualcosa?
Virysal non aveva scelto quel ragazzo fra le migliaia di mortali che aveva esaminato solamente perché era un bravo giocatore. L’aveva scelto perché, con tutta probabilità, era il miglior giocatore che potesse mai sperare d’incontrare.
In tutti i giochi che avevano fatto e con tutte le tattiche che aveva sperimentato, il Re Corvo non era mai stato in grado di batterlo. Anche nei giochi più complessi, come nove corvi o bianco rovo saltellante, Michel si era dimostrato un campione in grado di rispondere con facilità impressionante a qualsiasi mossa e in grado di ricordare migliaia di regole e trucchi senza il minimo sforzo.
Per Virysal batterlo non era diventata una questione personale come un’altra: era diventato il vero e proprio scopo della sua esistenza, una missione personale con cui si accanì ancora più di quella volta che, da solo, giurò di uccidere i tremila giganti delle montagne che volevano invadere il suo regno colpendoli nell’occhio sinistro con una freccia a una distanza di oltre sette chilometri. Era un obiettivo che era riuscito a raggiungere senza troppe difficoltà, così riteneva incredibile che un ragazzo mortale potesse dargli così tanto filo da torcere.
La vecchiaia, però, era cresciuta nel Re Corvo di pari passo con la tristezza. Con il passare del tempo comprese che la vittoria non gli avrebbe mai dato alcuna felicità.
Era la ricerca dell’obiettivo a fare di lui quello che era.
Così, quando durante una partita a serpenti e scale la sua capacità strategica era diventata talmente elevata da comprendere che avrebbe potuto facilmente battere Michel, decise di fare un passo indietro. Sbagliò di proposito alcune mosse, concedendo la vittoria al ragazzo, che uscì sorridente da quel durissimo scontro.
“Per un attimo ho creduto che mi avresti battuto”, aveva detto con un tono amaro.
Da quel momento in poi, per Virysal si era aperta una nuova sfida: non più tentare di sconfiggere il suo prigioniero, ma farlo vincere a tutti i costi.
Michel si alzò e compì tre rotazioni in senso antiorario su sé stesso. Poi toccò contemporaneamente due pedine: una piccola piramide di pietra grigia e una buffa linguetta rosa appartenuta a un qualche goblin del sottosuolo, prima che il Re Corvo decidesse di recidergliela perché aveva parlato troppo.
Due corvi gracchiarono, due volteggiarono, uno cominciò a becchettare il terreno in cerca di vermi e semenze.
“Una strana mossa, giovane amico – commentò Virysal – è una strategia che non ti ho mai visto seguire.”
Era vero. Da quando avevano incominciato quella partita, il re aveva l’impressione che il suo ospite si comportasse stranamente. Sembrava ansioso, scoraggiato dalle sue stesse mosse. Sembrava nascondere qualcosa.
“C’è qualcosa che ti turba?”, gli chiese.
“No – rispose Michel – tocca a te rispondere. Bada bene alla tua mossa, credo di avere la vittoria in pugno.”
Sta forse mentendo?, si chiese Virysal, che scrutò attentamente la scacchiera e notò che era vero: c’era solo una mossa che avrebbe potuto fare per vincere, mentre tutte le altre avrebbero portato inevitabilmente alla vittoria di Michel.
Come tutte le volte che le loro partite giungevano ad un punto simile, Virysal si trovò combattuto: avrebbe potuto facilmente battere il ragazzo, ma se l’avesse fatto i giochi con lui sarebbero finiti. Avrebbe raggiunto il suo vero obiettivo, e le partite con lui non l’avrebbero mai più soddisfatto. D’altro canto, se avesse deciso di perdere, la serie infinita di giochi sarebbe continuata.
Ma a quale prezzo? Che senso avrebbe avuto portarlo a inseguire un obiettivo falso come le menzogne che non era mai stato in grado di pronunciare? Ad ogni partita truccata, la soddisfazione che provava nel combattere mentalmente contro di lui si affievoliva sempre più, come si era affievolita la luce di Sathoyla.
Il pensiero della regina gli fece tornare in mente che non avrebbe mai voluto perdere di nuovo un compagno. Non voleva di nuovo sopportare una sensazione simile.
Inclinò la piramide di quarzo rosa su uno dei suoi cinque lati, poi tirò una coppia di dadi con sette facce, ottenendo il numero ventisei, che però si trasmutò in un due subito dopo.
Non avrebbe potuto fare mossa più sbagliata: i corvi tacquero.
“Per un attimo ho pensato che avresti potuto battermi – disse Michel sogghignando – ma la partita non è ancora finita.”
“Hai ragione, sono proprio uno sciocco. Non importa, ce ne saranno altre. Tocca a te muovere”, rispose il Re Corvo.
Michel scrutò attentamente la scacchiera. Virysal pensò che avrebbe potuto staccare la coda alla lucertola e darla in pasto agli scarafaggi gialli, oppure congelare una rosa con il respiro del piccolo drago di ghiaccio che si ergeva composto in mezzo al tavolo. Entrambe sarebbero state mosse vincenti, una degna conclusione di una partita avvincente e fasulla.
Michel invece allungò la mano soffice verso un piccolo anello a forma di corona di bronzo.
“Altre strategie bizzarre, Michel?”, gli chiese il Re Corvo.
“Si, voglio fare una prova”, rispose lui.
Michel afferrò l’anello, e con quello incoronò il drago di ghiaccio, che in tutta risposta emise uno sbuffo carico di freddo invernale. Otto corvi gracchiarono all’unisono.
“Ci sono andato molto vicino – disse Michel – sta di nuovo a te.”
Virysal era sconvolto: c’erano decine di mosse che avrebbero potuto decretare la vittoria del suo prigioniero, ma lui non le aveva eseguite. Osservò con attenzione la disposizione dei pezzi, poi la sua mente rimase sconvolta da ciò che gli si presentava davanti.
Qualsiasi mossa avesse eseguito, l’avrebbe decretato vincitore. Che decidesse di schiacciare tutti gli insetti, che cambiasse l’illuminazione della stanza facendo riflettere le pedine di luce fulgida o che mandasse il suo piccolo cavaliere a uccidere il drago incoronato, quella sarebbe stata la mossa decisiva.
“Esegui la tua mossa”, disse Michel.
“Sto pensando – rispose il Re Corvo portandosi le mani tra le piume soffici e strappandosene a ciocche – sto pensando.”
“Non c’è nulla da pensare. Esegui la tua mossa, vediamo come finisce questa partita.”
Il Re Corvo sgranò gli occhi.
“Tu sapevi! Sapevi perfettamente cosa stavi facendo!”
“Sì.”
Il Re Corvo si alzò sbattendo le mani sul tavolo. In lontananza, i tuoni risposero alla sua rabbia.
“Mi hai mentito! Hai truccato la partita in modo che io potessi vincere!”
“Ho solo fatto quello che tu hai fatto per così tanto tempo. Sei stato tu il primo a mentire, non io.”
Mentire?, pensò il Re Corvo con orrore. Lui non poteva mentire! Non ne era in grado!
O forse… la vicinanza con lui
Scacciò il pensiero dalla testa.
“Ritratta la tua mossa! Torna indietro!”, gli urlò Virysal.
“Non posso. I corvi non lo permetterebbero. Non è nelle regole del gioco”, rispose lui.
Il Re Corvo si sentì perduto. Era finito, tutto quanto era finito. Con fare quasi meccanico diede ordine al suo cavaliere di decapitare il drago di ghiaccio. Quando la sua corona rotolò a terra, bagnata del suo stesso sangue congelato, i nove corvi gracchiarono all’unisono.
“Posso andare a casa ora?”, chiese Michel candidamente.
Il Re Corvo non aveva parole. Non sapeva cosa rispondergli. Gli fece semplicemente un cenno, e dietro al ragazzo comparve una porta fatata fatta di spighe di grano e foglie secche, che si spalancò con un suono cigolante.
Michel osservò il suo carceriere ancora per qualche istante, poi attraversò la porta, diretto a casa.
L’intera dimora del Re Corvo si ricoprì di ghiaccio, inghiottendola nel più gelido inverno.
Passò un tempo indicibile prima che, in preda alla disperazione, percepisse qualcosa. Un lieve ticchettio sulle scale che portavano alla torre dei giochi, piedi calzati da stivali di cristallo fatato.
Alzò lo sguardo verso la scalinata e lì vide Sathoyla, la sua regina, osservarlo con gli occhi colmi di compassione. La sua luminosità solare era ormai ridotta ad uno scintillio quasi impercettibile.
“Sono stata io”, disse semplicemente.
Il Re Corvo la guardò con i suoi occhi dorati colmi di rabbia e risentimento.
“Ho spiegato a Michel come avrebbe potuto andarsene, e lui non ha pensato due volte ad abbandonarti. Ma non devi essere infuriato con me, mio re. L’ho fatto per il tuo bene.”
“Per il mio bene… - sussurrò il Re Corvo – come hai potuto fare questo per il mio bene?”
“Ho visto la tua luce oscura dissolversi sempre più, pur tenendomi a distanza. Tu non sei più quello che un tempo era il mio compagno. La sfida con il mortale ti ha ammaliato, tanto che ti sei innamorato della sfida stessa. Un amore sterile, senza più passione. Io ho fatto tutto questo per te, perché è meglio perdere per sempre un amore piuttosto che rilegarlo in un’oscurità ogni giorno più buia.”
“Come ho fatto io con te?”, chiese il Re Corvo. I pennuti, ancora presenti nella stanza, piangevano lacrime di ghiaccio.
“Sì. E percepisco che la minuscola emozione che ancora provavi per me si è dissolta con questo mio ultimo gesto. Inconsapevolmente, ci ho liberati entrambi.”
La luminosità della regina si spense e il suo corpo venne avvolto dal ghiaccio, come se le sue spoglie immortali fossero diventate parte stessa della fortezza.
Il Re Corvo si trovò da solo. Con lei, lo abbandonarono tutte le sue emozioni. Non era rimasto altro che un guscio vuoto, privo di qualsiasi identità o scopo.
Il Re Corvo non esisteva più. Virysal digrignò i denti, e le sue unghie nere e lucide si estroflessero in lunghi artigli. Il piumaggio che gli decorava la testa cadde, venendo sostituito da una rossa criniera. La maschera mutò, assumendo l’aspetto spaventoso di una fiera in caccia. Il ghiaccio sulle pareti si sciolse come a contatto con il fuoco.
Il Re Corvo non esisteva più. Non aveva più senso alcuno che esistesse, non voleva di nuovo provare simili emozioni. Il Re Gatto zompò in direzione della balaustra, afferrò tra le fauci uno degli uccelli neri e lo divorò.
Incominciò una nuova vita.