“Pedina d’oro su casella blu notte”, disse il giovane
prima di battere per tre volte le mani. Uno dei corvi appollaiati sulla
balaustra di marmo verde emise un gracchio, e un altro pennuto poco distante si
alzò in volo, volteggiando tre volte sulla complessa scacchiera colorata prima
di ridiscendere dolcemente e tornare alla sua posizione originaria.
Virysal, detto il Re Corvo,
sorrise tendendo le labbra morbide ed esangui.
“Una mossa astuta – commentò con
voce soave – molto ben giocata. Ma aspetta di vedere che cosa ho in serbo per
te.”
Il ragazzo sorrise, per nulla
intimorito dalla sottile minaccia del Re Corvo. Il suo aspetto, dopotutto, per
quanto potesse apparire meraviglioso e disturbante, era cosa a cui il suo
giovane compagno di giochi si era abituato nel corso degli anni. Le differenze
tra i due, sia fisiche che caratteriali, erano enormi. Eppure il Re Corvo
sapeva che non avrebbe potuto trovare un compagno e un amico migliore in tutta
la sua esistenza.
Michel, quell’astuto giovane dai
capelli color oro e pieno della bellezza efebica di un mortale in età
preadolescenziale, rappresentava tutto ciò che c’era di meraviglioso nel sole e
nella vitalità. I suoi occhi erano sempre all’inseguimento di ogni più piccolo
dettaglio, il suo sorriso trasmetteva lo stesso calore dorato di un campo di
grano in un pomeriggio d’estate, le sue movenze erano delicate e allo stesso
tempo decise.
Ben diverso era l’aspetto di
Virysal: nemmeno lui poteva essere certo di quanti anni avesse, perché nel suo
mondo il tempo non è misurato in anni, ma era certo di essere molto, molto
vecchio. A dispetto di ciò, il suo corpo non mostrava il minimo segno di
decadimento, ed era ancora forte e longilineo come quello di un ragazzo alla
soglia dei vent’anni. Le similitudini con un mortale però si fermavano qui. Il
Re Corvo aveva pelle argentea che nell’oscurità si illuminava di un alone
livido, unghie affilate e smaltate di nero, lunghe orecchie appuntite a formare
degli affusolati archi sui lati della testa. La sua chioma, il suo orgoglio,
era una cascata di piume di corvo nere che ricadevano dolcemente sulle spalle,
e i suoi occhi, all’ombra della grottesca maschera da corvo che portava sempre
in volto, erano del colore scintillante dell’oro illuminato dal fuoco.
Virysal comprendeva e condivideva
l’intera gamma delle emozioni umane e, come molti membri della sua razza, le
esagerava portandole agli eccessi. Quando era felice, la sua felicità faceva
fiorire tutte le piante della sua dimora fatata e gracchiare di gioia tutti i
corvi che la infestavano, e quando era infuriato persino i boschi che
circondavano i suoi terreni diventavano aggressivi, con alberi e piante che si
animavano per dilaniare ogni essere vivente in preda ad una furia omicida.
Ma era molto tempo che il Re
Corvo non provava più nulla di simile: più i giorni andavano avanti, più la
solitudine e la tristezza si facevano largo nel suo cuore, ricoprendolo
letteralmente di ghiaccio.
Per quanto possibile, cercava di
non mostrare quelle emozioni a Michel, ma Virysal sapeva che la natura gli
aveva donato un’emotività talmente forte da non essere in grado di contenerla,
e quando persino i muri della sua fortezza piangevano, anche Michel capiva che
c’era qualcosa che non andava.
“Foglia di acero d’argento su nastro d’edera –
disse il Re Corvo – provando un forte senso di rimpianto. I corvi accettano la
mossa?”
Cinque corvi gracchiarono
all’unisono, poi tacquero. Il Re Corvo annuì con soddisfazione.
“Sta di nuovo a te, Michel. Pensa
bene, abbiamo tutto il tempo.”
“Lo so bene, padrone”, rispose
lui scrutando la scacchiera carica di pedine di ogni genere, come piccole
statuine d’argento, anelli, foglie, sassi e persino insetti fatati vivi e
vegeti, che si muovevano come impazziti saltando da una casella all’altra. Anche
quello faceva parte del gioco.
“Non sono il tuo padrone, Michel.
Io sono tuo amico.”
“Hai ragione, scusami. Non devo
chiamarti così. Tu sei l’unico amico che ho.”
Virysal osservò il ragazzo con
attenzione. In principio non capiva le menzogne, non ne era in grado. Il suo
popolo non era in grado di mentire: era una cosa che fisiologicamente non erano
in grado di fare, così era loro abitudine cercare di aggirare e nascondere la
verità. Ma dire una menzogna deliberatamente, questo mai. Prima di trovarsi a tu
per tu con i mortali, il Re Corvo non sapeva nemmeno che cosa fosse la falsità.
Da quando Michel era con lui, però, stava diventando piuttosto abile a
riconoscerla. Non era ancora in grado di mentire, e probabilmente non sarebbe
mai stato in grado, ma cominciava a capire quando il suo amico e prigioniero lo
faceva.
E in quel momento lo stava
facendo: Michel non pensava veramente che lui fosse un amico, ma un padrone e
un carceriere.
Eppure Virysal non riusciva a
capire perché Michel provasse sentimenti simili nei suoi confronti. Non solo
non gli aveva mai fatto nulla di male, ma gli aveva permesso di vivere con lui,
nella sua dimora fatata, un luogo che ogni mortale avrebbe trovato meraviglioso
e incredibile.
Che importava che l’avesse
prelevato con la forza dalla sua casa, nel cuore della notte, mettendo al suo
posto un burattino di paglia, pezza e piume di corvo? La sua famiglia non si
sarebbe mai accorta della differenza, per cui se temeva che loro potessero
provare dispiacere per la sua scomparsa, si sbagliava di grosso. Gli era stata
destinata una vita umile e priva di magia, tutto il giorno a spaccarsi la
schiena nei campi al seguito di animali puzzolenti, a sporcarsi con la terra, a
mangiare solo il frutto del proprio lavoro.
Il Re Corvo proprio non capiva i
mortali. Perché faticare e soffrire a quel modo, se la frutta cresceva
spontaneamente dal terreno senza bisogno che nessuno la coltivasse? Se gli
stessi animali della foresta si presentavano ad ogni tramonto, grattando contro
le porte delle cucine, e chiedendo ai cuochi di tagliar loro il collo perché
potessero essere cucinati e serviti ad ogni tavola?
Le cose non funzionavano forse
così anche nel mondo dei mortali?
Virysal aveva salvato l’astuto
Michel da una vita di sofferenza e, ancor più triste, mortale, portandolo in un
mondo dove il tempo non aveva significato. L’unica cosa che chiedeva in cambio
era che il ragazzo giocasse con lui.
Il Re Corvo aveva centinaia e
centinaia di giochi nel suo castello. Dai più semplici giochi di guerra con
fanti e alfieri di carne, pronti a far colare sangue sul campo di battaglia,
che Michel chiamava scacchi viventi, a quelli più complessi, come ciò a
cui stavano giocando ora, chiamato nove corvi. Era un passatempo
inventato dallo stesso Virysal, e lui ne era molto soddisfatto. Lo scopo era
far gracchiare contemporaneamente i nove corvi che assistevano alla partita
compiendo determinate mosse. Non bisognava però dimenticarsi delle regole: i
colori metallici andavano sui colori cromatici, foglie e piante dovevano sempre
incrociarsi, un volteggio di corvo valeva come un gracchio meno il numero di
insetti sulla tavola che non erano ancora feriti. Poi bisognava ricordarsi che
se i coleotteri cadevano sulla schiena allora i metalli si invertivano, che le
regine erano immobili a meno che il vento non muovesse le campanelle d’argento
e che se entrambi i soli tramontavano contemporaneamente tutte le pedine
dovevano essere capovolte.
E queste erano solamente le
regole principali, perché il Re Corvo si era divertito a inventare migliaia di
regole e sotto regole, alcune talmente intricate da contraddirsi a vicenda, ma
che senso aveva che il gioco fosse perfetto? Se lo fosse stato, non ci sarebbe
più stato divertimento nel perfezionarlo.
“Cimice bianca salta la collina
di terra, e si posiziona sotto il gigante di corno”, disse Michel. Sei corvi
gracchiarono, due volteggiarono per cinque volte. Non era ancora abbastanza, ma
sembrava essere molto vicino alla vittoria.
Il Re Corvo osservò la
scacchiera, meditando sul da farsi. Osservò gli occhi attenti di Michel e
improvvisamente gli tornò in mente quando al posto del giovane mortale c’era
un’altra compagna di giochi.
Fin dalla loro nascita erano
stati sempre insieme, destinati a diventare compagni e regnanti di quella terra
meravigliosa e terribile. Fratello e sorella, re e regina, ombra e luce.
Era da molto tempo che non
pensava più alla Regina Sathoyla.
Come Michel, anche lei era
l’opposto di Virysal. La sua pelle era fatta della stessa luce solare, i suoi
occhi brillavano come acqua illuminata dalla luna, le rose fiorivano al suo
passaggio. Era dotata di un’audacia e un intelletto sopraffino, paragonabile
solamente a quello del Re Corvo. Quando cantava, le stelle risplendevano più
luminose, e quando era triste la nebbia avvolgeva l’intera vallata.
Con lei, Virysal aveva giocato
molto, ma erano diversi tipi di giochi: erano duetti d’amore e discordia,
momenti di estremo piacere ed estrema tristezza, balli, feste e dolci momenti
di pace. In termini mortali, avevano trascorso insieme millenni. Sapeva
addirittura che nelle leggende popolari dell’altro mondo c’erano canti e balli
che parlavano di loro due e del loro supremo amore per tutto ciò che li
circondava.
Eppure, con il tempo, il Re Corvo
iniziò a farsi sempre più inquieto. Per qualche motivo che non riusciva a
comprendere, il sorriso di Sathoyla non lo saziava più come una volta. Le
tenere passeggiate nei giardini di rose di vetro non trasmettevano più quella
sensazione di cui il Re era ghiotto.
Era come se la luce emanata dalla
sua regina si stesse affievolendo sempre più, mano a mano che gli istanti
passavano. Virysal non riusciva a comprendere perché ciò stesse accadendo. Si
sentiva in colpa, perché credeva che tutto ciò fosse anche sua infame mancanza,
ma allo stesso tempo si sentiva inadatto ad affrontare la situazione.
Presto iniziarono a vedersi
sempre meno, a scambiarsi sempre meno parole, fino a che Virysal iniziò a
dedicarsi alla ricerca di un piacere di tipo diverso, che avrebbe potuto ridare
un po’ di luce alla sua esistenza immortale.
Il gioco, qualunque esso fosse,
gli forniva questo piacere. Dal principio tentò di coinvolgere la stessa
regina, ma questa aveva perso quasi completamente la sua luminosità interiore,
e la sua sola presenza lo infastidiva. Cercò a lungo fra i suoi servitori
qualcuno che fosse abbastanza capace da aiutarlo, ma riusciva a battere
facilmente chiunque lo sfidasse: come era abituato a passioni estreme nel suo
rapporto con Sathoyla, non traeva alcuna soddisfazione da una facile vittoria.
Fu solo dopo numerosi tentativi
che si abbassò a cercare qualcuno nel mondo mortale. Vagò a lungo sulla terra,
assumendo varie forme e parlando con ogni uomo e donna per trovare qualcuno di
adatto. Quel qualcuno era Michel, e quando lo vide se ne innamorò perdutamente,
tanto da portarlo con sé fino alla sua dimora.
Da quando era tornato e aveva
sottoposto il giovane mortale a tutti i suoi giochi, non aveva mai più rivisto
Sathoyla. Sapeva che era ancora lì da qualche parte, tra le mura della sua
dimora, ma essa aveva dimensioni talmente sconfinate che due persone avrebbero
potuto viverci per secoli mortali senza mai incontrarsi. Da quel momento, però,
la nebbia non era mai scivolata via dai boschi che li circondavano in ogni
direzione.
Virysal fece cadere tre piume
nere sulla scacchiera con un rapido gesto della mano, aggiungendo così tre
pedine al gioco. Una manovra molto rischiosa. Una delle piume nere andò a
posarsi su un grillo che, spaventato, balzò fuori dall’area di gioco. Uno dei
corvi gracchiò, mentre gli altri non sembravano minimamente impressionati.
“Brutta mossa, amico”, commentò
Michel gelidamente. Il Re Corvo percepì anche delle tracce d’ansia nella sua
voce.
Si chiese immediatamente come ciò fosse possibile. Che
Michel avesse paura di qualcosa?
Virysal non aveva scelto quel
ragazzo fra le migliaia di mortali che aveva esaminato solamente perché era un
bravo giocatore. L’aveva scelto perché, con tutta probabilità, era il miglior
giocatore che potesse mai sperare d’incontrare.
In tutti i giochi che avevano fatto
e con tutte le tattiche che aveva sperimentato, il Re Corvo non era mai stato
in grado di batterlo. Anche nei giochi più complessi, come nove corvi o bianco
rovo saltellante, Michel si era dimostrato un campione in grado di
rispondere con facilità impressionante a qualsiasi mossa e in grado di
ricordare migliaia di regole e trucchi senza il minimo sforzo.
Per Virysal batterlo non era
diventata una questione personale come un’altra: era diventato il vero e
proprio scopo della sua esistenza, una missione personale con cui si accanì
ancora più di quella volta che, da solo, giurò di uccidere i tremila giganti
delle montagne che volevano invadere il suo regno colpendoli nell’occhio
sinistro con una freccia a una distanza di oltre sette chilometri. Era un obiettivo
che era riuscito a raggiungere senza troppe difficoltà, così riteneva
incredibile che un ragazzo mortale potesse dargli così tanto filo da torcere.
La vecchiaia, però, era cresciuta
nel Re Corvo di pari passo con la tristezza. Con il passare del tempo comprese
che la vittoria non gli avrebbe mai dato alcuna felicità.
Era la ricerca dell’obiettivo a
fare di lui quello che era.
Così, quando durante una partita
a serpenti e scale la sua capacità strategica era diventata talmente
elevata da comprendere che avrebbe potuto facilmente battere Michel, decise di
fare un passo indietro. Sbagliò di proposito alcune mosse, concedendo la
vittoria al ragazzo, che uscì sorridente da quel durissimo scontro.
“Per un attimo ho creduto che mi
avresti battuto”, aveva detto con un tono amaro.
Da quel momento in poi, per
Virysal si era aperta una nuova sfida: non più tentare di sconfiggere il suo
prigioniero, ma farlo vincere a tutti i costi.
Michel si alzò e compì tre
rotazioni in senso antiorario su sé stesso. Poi toccò contemporaneamente due
pedine: una piccola piramide di pietra grigia e una buffa linguetta rosa
appartenuta a un qualche goblin del sottosuolo, prima che il Re Corvo decidesse
di recidergliela perché aveva parlato troppo.
Due corvi gracchiarono, due
volteggiarono, uno cominciò a becchettare il terreno in cerca di vermi e
semenze.
“Una strana mossa, giovane amico
– commentò Virysal – è una strategia che non ti ho mai visto seguire.”
Era vero. Da quando avevano
incominciato quella partita, il re aveva l’impressione che il suo ospite si
comportasse stranamente. Sembrava ansioso, scoraggiato dalle sue stesse mosse.
Sembrava nascondere qualcosa.
“C’è qualcosa che ti turba?”, gli
chiese.
“No – rispose Michel – tocca a te
rispondere. Bada bene alla tua mossa, credo di avere la vittoria in pugno.”
Sta forse mentendo?, si
chiese Virysal, che scrutò attentamente la scacchiera e notò che era vero:
c’era solo una mossa che avrebbe potuto fare per vincere, mentre tutte le altre
avrebbero portato inevitabilmente alla vittoria di Michel.
Come tutte le volte che le loro partite giungevano ad un
punto simile, Virysal si trovò combattuto: avrebbe potuto facilmente battere il
ragazzo, ma se l’avesse fatto i giochi con lui sarebbero finiti. Avrebbe
raggiunto il suo vero obiettivo, e le partite con lui non l’avrebbero mai più
soddisfatto. D’altro canto, se avesse deciso di perdere, la serie infinita di
giochi sarebbe continuata.
Ma a quale prezzo? Che senso
avrebbe avuto portarlo a inseguire un obiettivo falso come le menzogne che non
era mai stato in grado di pronunciare? Ad ogni partita truccata, la
soddisfazione che provava nel combattere mentalmente contro di lui si
affievoliva sempre più, come si era affievolita la luce di Sathoyla.
Il pensiero della regina gli fece
tornare in mente che non avrebbe mai voluto perdere di nuovo un compagno. Non
voleva di nuovo sopportare una sensazione simile.
Inclinò la piramide di quarzo
rosa su uno dei suoi cinque lati, poi tirò una coppia di dadi con sette facce,
ottenendo il numero ventisei, che però si trasmutò in un due subito dopo.
Non avrebbe potuto fare mossa più
sbagliata: i corvi tacquero.
“Per un attimo ho pensato che
avresti potuto battermi – disse Michel sogghignando – ma la partita non è
ancora finita.”
“Hai ragione, sono proprio uno sciocco.
Non importa, ce ne saranno altre. Tocca a te muovere”, rispose il Re Corvo.
Michel scrutò attentamente la
scacchiera. Virysal pensò che avrebbe potuto staccare la coda alla lucertola e
darla in pasto agli scarafaggi gialli, oppure congelare una rosa con il respiro
del piccolo drago di ghiaccio che si ergeva composto in mezzo al tavolo.
Entrambe sarebbero state mosse vincenti, una degna conclusione di una partita
avvincente e fasulla.
Michel invece allungò la mano
soffice verso un piccolo anello a forma di corona di bronzo.
“Altre strategie bizzarre,
Michel?”, gli chiese il Re Corvo.
“Si, voglio fare una prova”,
rispose lui.
Michel afferrò l’anello, e con
quello incoronò il drago di ghiaccio, che in tutta risposta emise uno sbuffo
carico di freddo invernale. Otto corvi gracchiarono all’unisono.
“Ci sono andato molto vicino –
disse Michel – sta di nuovo a te.”
Virysal era sconvolto: c’erano
decine di mosse che avrebbero potuto decretare la vittoria del suo prigioniero,
ma lui non le aveva eseguite. Osservò con attenzione la disposizione dei pezzi,
poi la sua mente rimase sconvolta da ciò che gli si presentava davanti.
Qualsiasi mossa avesse eseguito,
l’avrebbe decretato vincitore. Che decidesse di schiacciare tutti gli insetti,
che cambiasse l’illuminazione della stanza facendo riflettere le pedine di luce
fulgida o che mandasse il suo piccolo cavaliere a uccidere il drago incoronato,
quella sarebbe stata la mossa decisiva.
“Esegui la tua mossa”, disse
Michel.
“Sto pensando – rispose il Re
Corvo portandosi le mani tra le piume soffici e strappandosene a ciocche – sto
pensando.”
“Non c’è nulla da pensare. Esegui
la tua mossa, vediamo come finisce questa partita.”
Il Re Corvo sgranò gli occhi.
“Tu sapevi! Sapevi perfettamente
cosa stavi facendo!”
“Sì.”
Il Re Corvo si alzò sbattendo le
mani sul tavolo. In lontananza, i tuoni risposero alla sua rabbia.
“Mi hai mentito! Hai truccato la
partita in modo che io potessi vincere!”
“Ho solo fatto quello che tu hai fatto per così tanto
tempo. Sei stato tu il primo a mentire, non io.”
Mentire?, pensò il Re
Corvo con orrore. Lui non poteva mentire! Non ne era in grado!
O forse… la vicinanza con lui…
Scacciò il pensiero dalla testa.
“Ritratta la tua mossa! Torna
indietro!”, gli urlò Virysal.
“Non posso. I corvi non lo permetterebbero.
Non è nelle regole del gioco”, rispose lui.
Il Re Corvo si sentì perduto. Era
finito, tutto quanto era finito. Con fare quasi meccanico diede ordine al suo
cavaliere di decapitare il drago di ghiaccio. Quando la sua corona rotolò a
terra, bagnata del suo stesso sangue congelato, i nove corvi gracchiarono
all’unisono.
“Posso andare a casa ora?”,
chiese Michel candidamente.
Il Re Corvo non aveva parole. Non
sapeva cosa rispondergli. Gli fece semplicemente un cenno, e dietro al ragazzo
comparve una porta fatata fatta di spighe di grano e foglie secche, che si
spalancò con un suono cigolante.
Michel osservò il suo carceriere
ancora per qualche istante, poi attraversò la porta, diretto a casa.
L’intera dimora del Re Corvo si
ricoprì di ghiaccio, inghiottendola nel più gelido inverno.
Passò un tempo indicibile prima
che, in preda alla disperazione, percepisse qualcosa. Un lieve ticchettio sulle
scale che portavano alla torre dei giochi, piedi calzati da stivali di
cristallo fatato.
Alzò lo sguardo verso la
scalinata e lì vide Sathoyla, la sua regina, osservarlo con gli occhi colmi di
compassione. La sua luminosità solare era ormai ridotta ad uno scintillio quasi
impercettibile.
“Sono stata io”, disse
semplicemente.
Il Re Corvo la guardò con i suoi
occhi dorati colmi di rabbia e risentimento.
“Ho spiegato a Michel come
avrebbe potuto andarsene, e lui non ha pensato due volte ad abbandonarti. Ma
non devi essere infuriato con me, mio re. L’ho fatto per il tuo bene.”
“Per il mio bene… - sussurrò il
Re Corvo – come hai potuto fare questo per il mio bene?”
“Ho visto la tua luce oscura
dissolversi sempre più, pur tenendomi a distanza. Tu non sei più quello che un
tempo era il mio compagno. La sfida con il mortale ti ha ammaliato, tanto che
ti sei innamorato della sfida stessa. Un amore sterile, senza più passione. Io
ho fatto tutto questo per te, perché è meglio perdere per sempre un amore
piuttosto che rilegarlo in un’oscurità ogni giorno più buia.”
“Come ho fatto io con te?”,
chiese il Re Corvo. I pennuti, ancora presenti nella stanza, piangevano lacrime
di ghiaccio.
“Sì. E percepisco che la
minuscola emozione che ancora provavi per me si è dissolta con questo mio
ultimo gesto. Inconsapevolmente, ci ho liberati entrambi.”
La luminosità della regina si
spense e il suo corpo venne avvolto dal ghiaccio, come se le sue spoglie
immortali fossero diventate parte stessa della fortezza.
Il Re Corvo si trovò da solo. Con
lei, lo abbandonarono tutte le sue emozioni. Non era rimasto altro che un
guscio vuoto, privo di qualsiasi identità o scopo.
Il Re Corvo non esisteva più.
Virysal digrignò i denti, e le sue unghie nere e lucide si estroflessero in
lunghi artigli. Il piumaggio che gli decorava la testa cadde, venendo
sostituito da una rossa criniera. La maschera mutò, assumendo l’aspetto
spaventoso di una fiera in caccia. Il ghiaccio sulle pareti si sciolse come a
contatto con il fuoco.
Il Re Corvo non esisteva più. Non
aveva più senso alcuno che esistesse, non voleva di nuovo provare simili
emozioni. Il Re Gatto zompò in direzione della balaustra, afferrò tra le fauci
uno degli uccelli neri e lo divorò.
Incominciò una nuova vita.