venerdì 10 ottobre 2014

Wonton Maat



Wonton [xwə̌n tʰwən] tipo di raviolo comunemente associato a numerose varietà della cucina cinese.
Maat [muʔ.ʕat] concetto di verità, equilibrio, ordine, legge, moralità e giustizia nell’antico Egitto; la piuma di Maat faceva parte del rito della pesatura del cuore.

La puzza di fritto gli penetrò fino al cervello non appena mise piede nel locale. La rosticceria Green Chair Dragon non era un ambiente molto grande, e contava di appena otto posti a sedere, più un paio al bancone dove una cinese minuta e probabilmente ancora minorenne stava scacciando le mosche con un ventaglio di carta. L’insegna del locale era una tigre al neon con occhi di un luminoso viola.
Nikola Tesla pensò che chi aveva scelto il nome del posto doveva avere le idee un po’ confuse.
L’unico cliente aveva scelto il tavolo più lontano dal bancone, e stava mangiando dei ravioli di carne con scarsa convinzione, intingendoli prima in una piccola scodella colma di salsa di soia. Era un ometto basso, non grasso ma nemmeno in forma, con la pelle olivastra tipica degli egiziani e un completo simil-agente della CIA che sembrava non infastidirlo nonostante il caldo e l’odore opprimente di cose morte e poi fritte. Il dottor Tesla notò che aveva una leggera traccia di matita sotto gli occhi, e in quel momento ebbe la certezza che quello era l’uomo che l’aveva invitato in quel posto.
Ignorò la cinese che gli stava chiedendo in un inglese stentato se volesse ordinare e andò diretto al tavolo, sedendosi di fronte al suo occupante.
“Dottor Tesla, è un vero piacere incontrarla di persona”, disse l’egiziano, dimostrando una buona padronanza della lingua nonostante l’accento di cui non era ancora riuscito a liberarsi completamente.
Gli tese la mano, ma Tesla la guardò assumendo un’espressione disgustata.
“Mi perdoni, ma non stringo mai le mani, tantomeno se prima hanno toccato le porcherie che servono in luoghi come questi. Sono molto attento riguardo all’igiene del mio corpo.”
L’egiziano mantenne un’espressione gioviale e ritrasse la mano.
“Mi perdoni se la cosa mi stupisce un po’. Non vedo perché lei debba preoccuparsi di germi o malattie, visto che sono decenni che ha ottenuto l’immortalità.”
“Non avere più la morte alle calcagna non è un buon motivo per perdere una buona abitudine acquisita nel corso degli anni. Ma veniamo al dunque subito. Nella telefonata che mi ha fatto, è stato molto vago su cosa vuole da me. È riuscito a contattarmi e sa chi sono realmente, quando l’intero pianeta è convinto che io sia morto da molto tempo. Sono venuto qui senza fare questioni, accettando di incontrarla alle sue condizioni, e spero di non aver perso il mio tempo facendolo. Quindi, mi perdoni la domanda schietta, ma posso sapere chi è lei?”
“I più mi conoscono come Jussef O’Cyris, proprietario del 27% del casinò Luxor, qui a Las Vegas. Un bell’ammasso di luci colorate, fontane di similoro e graziose ragazze che per lavoro si travestono da Cleopatra, anche se non hanno nemmeno un decimo della sua grazia. Lei, dottor Tesla, può chiamarmi Osiride.”
“Come il dio egiziano? Mi pare un po’ altisonante.”
“No, dottor Tesla – rispose lui, mantenendo il tono gioviale – non come il dio egiziano. Sono proprio io, in carne, ossa e spirito, con oltre sette millenni di storia alle spalle.”
Tesla assunse un’espressione scettica e si limitò a osservare con attenzione il suo compagno di conversazioni. La scienza aveva costituito per tutta la sua vita un ruolo estremamente importante, e sebbene rispettasse le convinzioni religiose a livello filosofico, non aveva mai ritenuto possibile che una qualsiasi divinità esistesse veramente. Tantomeno un dio con un aspetto così anonimo e insignificante.
“Mi perdoni, ma sono piuttosto scettico sulla sua affermazione.”
“Da lei non mi sarei aspettato niente di diverso, dottore. Ma se vuole, le darò una piccola dimostrazione del mio potere. Forse la convincerò, forse no, ma sono sicuro che dopo avrò la sua completa attenzione e potremo passare alla questione che voglio sottoporle.”
“Proceda pure”, disse Tesla, incuriosito. Durante la lunga vita aveva assistito a spettacoli di sedicenti maghi e mentalisti, ma ognuno di questi aveva un semplice trucco alla base delle sue capacità straordinarie. Era sicuro che anche questo sedicente dio egiziano non fosse nient’altro che un cialtrone.
“Sarò costretto a toccarla. Non è necessario che mi dia la mano, se la cosa la infastidisce, posso anche toccarla attraverso i vestiti.”
“Proceda.”
L’egiziano afferrò saldamente la manica della giacca velluto marrone del dottore, e assunse un’espressione concentrata per alcuni istanti. Poi sorrise, lasciò la presa e rivolse nuovamente lo sguardo al dottore.
“Nel 1878, quando studiava presso l’Università di Praga, attaccò un compagno di studi, Karl Gospic, in seguito a una lite nata durante lo studio di alcuni trattati sull’elettromagnetismo. Ebbe un’allucinazione durante il combattimento, e colpì con violenza il volto di Karl. Divenne cieco dall’occhio sinistro, ma lei riuscì a passarla liscia sostenendo di essere stato attaccato per primo.”
“Interessante, signore – rispose Tesla senza scomporsi – ma sono stati scritti numerosi trattati e libri su di me. Per quanto sia una storia sconosciuta ai più, l’avrà sicuramente letta da qualche parte. Cosa ha intenzione di dimostrare con questo?”
“Io sono Osiride, mio buon dottore. Posso sentire il peso dei suoi crimini gravare sul suo cuore. Potrei anche dirle che quando aveva sette anni rubò due mele verdi dal mercato di Smiljan, oppure che a tredici anni e mezzo amava recarsi nelle stalle della fattoria di vostro padre durante la notte e osservare silenziosamente vostra sorella accoppiarsi con ardore con Goran, lo stalliere, o molte altre sconcezze, ma credo che la conversazione diventerebbe sconveniente e imbarazzante per entrambi. Non è necessario che creda alle mie parole, come ho detto, ma voglio che lei sia pronto ad ascoltare ogni cosa che le sto per dire, per quanto assurda possa sembrare. Ho la sua parola?”
Il dottor Tesla era impallidito quando Osiride aveva nominato Goran e sua sorella. Non aveva mai raccontato a nessuno quella storia. Non avrebbe mai potuto spargere in giro una voce così imbarazzante sul suo conto.
“Ha la mia completa attenzione, signore”, disse con un filo di voce.
Osiride afferrò l’ultimo raviolo con le bacchette, lo intinse nella salsa e se lo portò alla bocca, masticando lentamente.
“Molto bene, dottore. L’ho contattata e ho voluto incontrarla perché lei è l’unico che può aiutarmi a risolvere una questione. Oltre la sua esperienza sconfinata nella scienza, so che lei ha studiato un po’ le religioni. Come ben saprà, il mio ruolo tra gli dèi è quello di guardiano dell’oltretomba. Mi occupo di pesare i cuori, anche se in senso puramente figurato, e decidere chi ha il compito di ascendere in luoghi ameni e chi no.”
“Mi sta dicendo che le antiche divinità egiziane sono reali, e tutte le altre fedi sono fasulle?”
“No, non esattamente. In realtà, non ho ancora ben capito nemmeno io come funzioni, e sono millenni che ci sono dentro. C’è un gran giro di anime, dannati, entità ultraterrene e altre cose che farebbero impazzire completamente un teologo. Thor è un mio caro amico, andiamo spesso a bere insieme nel Valhalla, un ottimo bar sui fiordi norvegesi. Jhwh è un brontolone vendicativo, e preferisco averci poco a che fare. I kami shintoisti amano un sacco giocare d’azzardo e bere vino di prugne, infatti quando vengono al Luxor faccio sempre dei grandi affari. Potrei andare avanti a raccontarle le buffonate degli dèi tutta la serata, dottor Tesla, ma sarebbe un disutile spreco di parole. Forse quando avremo risolto la questione, se sarà interessato, potremo continuare a disquisire sull’argomento.”
“Vada avanti”, disse Tesla, mentre i suoi occhi si spalancavano sempre più per lo stupore.
“Il mio compito non è solo quello di giudicare, ma anche di fare la guardia a coloro che entrano nei miei domini. Le anime condannate all’oltretomba, o Duat nella lingua antica, non se la passano così male. Non ci sono torture e dannati come nell’inferno cristiano, ma mi creda, è tutto di una noia mortale. Sono solo a gestire la baracca, e non ho tempo e fondi sufficienti per fornire divertimenti ai miei ospiti. Così può capitare che una di queste anime, ogni tanto, tenti di scappare per ritornare sulla Terra. Finora non c’era mai riuscito nessuno, ma un paio di notti fa qualcuno è riuscito a sfuggire alla guardia del mio fedele Ammit dandogli in pasto una bistecca di dromedario piena di sonnifero.”
“Ammit sarebbe…?”
“Il migliore amico del guardiano dell’oltretomba. Testa di coccodrillo, parte anteriore del corpo di leone, e parte posteriore di ippopotamo. Sa fare pipì nella lettiera e non sporca in giro, purché gli si dia sempre da mangiare. L’ho anche addestrato a riportare i bastoncini.”
“Bene signor… Osiride – disse Tesla, con un tono di voce lievemente sarcastico – mi pare che lei abbia un problema di sicurezza, ma io come posso aiutarla?”
“Mi lasci completare il mio racconto, dottor Tesla, e presto le sarà tutto chiaro. Coloro che riescono a scappare dal Duat si ritrovano qui, a Las Vegas, all’interno del Luxor. I miei impegni lavorativi in entrambi i mondi mi hanno costretto a ritirarmi dall’Egitto, così l’unica porta esistente per l’oltretomba si trova nel gabinetto delle signore al dodicesimo piano. Ho fortunatamente installato un sistema di sicurezza ulteriore, un cristallo magico sul tetto del casinò, che fa sì che le anime fuggitive non riescano ad allontanarsi di troppo dalla porta dell’oltretomba. Più precisamente, sono costrette a rimanere entro i confini della città. Ma questo sistema, purtroppo, può essere infranto da misture magiche sconosciute ai più.”
“Beh, mi sembra che il problema sia meno grave del previsto, allora. L’anima fuggitiva conosce questi… incantesimi?”, chiese Tesla, non potendo nascondere una nota di ribrezzo quando pronunciò l’ultima parola.
“Ne dubito fortemente, ma ciò non toglie che possa entrare in contatto con l’intruglio magico per puro caso. Anzi, la possibilità che ciò accada è molto alta.”
“Per quale motivo?”
Osiride fece un gesto ampio con le braccia, indicando l’ambiente intorno a sé.
“Dottor Tesla, lei si è mai chiesto cosa si nasconde nella cucina dei ristoranti cinesi? Cosa mettano davvero dentro i loro ravioli?”
“Non sono divenuto immortale facendomi domande del genere.”
“La combinazione di elementi della cucina cinese, non la vera cucina cinese, ma quella dei postriboli come questo, produce effetti incredibili. Si parla di antica tradizione mescolata a un forte risentimento razziale, decenni di immigrazione e meltin pot culturale. Senza contare che gli ingredienti che utilizzano provengono da luoghi che nessuno vorrebbe mai visitare. C’è una discreta possibilità che se la nostra anima fuggitiva ingerisca un qualsiasi cibo fritto e scarsamente digeribile uscito da una qualsiasi delle loro cucine, l’incantesimo del cristallo venga interrotto dalla combinazione di elementi oscuri, e a quel punto sarebbe definitivamente perduta.”
“Mi faccia capire, dovremmo ritrovare quest’anima prima che mangi in un ristorante cinese?”
“Precisamente.”
“Non mi è ancora chiaro in che modo posso aiutarla.”
“Lei ha studiato più di chiunque altro nella storia umana l’elettricità e l’elettromagnetismo. So che i suoi studi sono proseguiti anche dopo la sua finta morte, e che ha prodotto macchinari in grado di cose incredibili. Tra questi, il Raggio della Morte, che durante la vita aveva solamente studiato a livello teorico.”
“È veramente molto informato su di me, posso chiederle come ha ottenuto tutte queste informazioni?”
“Noi antichi dèi abbiamo i nostri metodi, che consistono in sfere di cristallo, servitori che volano nella notte e… oh, ma chi prendo in giro, è bastato inserire una cimice nei suoi vestiti. L’ho fatta mettere dall’uomo invisibile.”
“L’uomo invisibile… non voglio nemmeno farle questa domanda. Il Raggio della Morte è però stato studiato per uccidere le persone, come potrebbe servirle nel compito?”
“Ciò che è già morto non può morire di nuovo, e questo vale anche per il nostro amico. Si tratta di un individuo pericoloso, e mi è necessaria un’arma pericolosa quanto lui per riuscire a fermarlo. E poi si parla di fantasmi fuggitivi, raggi di energia… sono sempre stato un grande fan di Bill Murray. Ha presente a cosa mi riferisco, no?”
“No, ma non ho la minima intenzione di chiederglielo. Questa storia è talmente assurda che il mio cervello si rifiuta di prenderla in considerazione anche per un solo istante. Ma sa troppe cose su di me per credere che non ci sia qualcosa sotto. Non ho nulla da perdere, quindi mi consideri arruolato se non altro per la pura curiosità di vedere dove andrà a finire questo sciocco scherzo.”
“Molto bene dottor Tesla! Ero certo di poter contare su di lei. C’è un ultimo dettaglio, ovvero l’identità dell’anima che è nostro compito recuperare.”
“Ormai sono pronto a tutto.”
“Musashi Miyamoto.”
“Il leggendario spadaccino giapponese?”
“Esattamente. Ora capisce perché ho richiesto la sua assistenza?”
“Certo, per ritrovare Musashi Miyamoto prima che mangi del cibo cinese. Un giapponese che mangia schifezze cinesi, che assurdità! Sarebbe più probabile il ritorno del Messia!”
“È già accaduto. Sette anni fa, in Afghanistan. Esattamente tre minuti dopo che il piccolo Namir aveva ricevuto l’illuminazione divina, l’intero villaggio è stato raso al suolo dai missili dello Zio Sam. Non aveva ancora imparato a fare miracoli.”
“Cosa vuole dire con questo?”
“Voglio dire, quanto sono vero io, che niente in questo mondo e negli altri è impossibile. Persino che un giapponese si ingozzi di involtini primavera fino a esplodere.”

Raggiunsero il Luxor prendendo un taxi. Tesla rimase silenzioso per tutto il viaggio, scrutando senza farsi notare il suo compagno seduto a fianco a lui. Osiride conversava amabilmente con il tassista egiziano nella sua lingua nativa, e ogni tanto entrambi si abbandonavano a eccessi di risa.
Il dottor Tesla ripensò all’assurdità di quella vicenda. Era sempre stato enormemente rispettoso delle religioni, ma la ferma convinzione che la scienza potesse spiegare ogni cosa esistente l’aveva mantenuto avvolto da un guscio di scetticismo per tutta la vita. Persino la sua immortalità aveva una solida base scientifica e non mistica, e se quel piccoletto egiziano era veramente Osiride incarnato, doveva esserci sicuramente una spiegazione che non sconfinasse nel becero occultismo.
O almeno così sperava il dottore.
In meno di venti minuti arrivarono al Luxor, un enorme e pacchiano edificio piramidale in vetro illuminato da fari luminosi, con l’insegna al neon del volto di un faraone a rendere ancora più appariscente la facciata principale.
Osiride pagò il tassista e si recarono verso l’ingresso, dove una gran quantità di giocatori d’azzardo di tutte le età andavano e venivano. Nikola Tesla stringeva una grossa valigia, contenente qualcosa di estremamente pesante. Un paio di camerieri con dei semplici gonnellini bianchi e collari dorati, un abbigliamento simile a quello degli schiavi d’onore egiziani, salutarono la divinità in completo con un largo sorriso rispettoso.
“Non sono schiavi, non si preoccupi – disse lui – hanno un turno di otto ore, ferie pagate e uno stipendio da far invidia ai croupier del Caesar’s Palace. Anche noi antichi ci dobbiamo adattare ai tempi moderni.”
“Dove stiamo andando?”
“La fuga di Miyamoto è stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza. Ho già visionato i filmati, ma non sono riuscito a carpire molti indizi. Forse il suo occhio arguto potrà aiutarmi.”
Osiride si recò verso una porta dorata con il cartello Riservato al Personale bene in evidenza, la aprì con una chiave estratta dalla tasca della giacca e accompagnò Tesla al suo interno. La stanza delle registrazioni era piccola e colma di monitor, computer e apparecchi di registrazione. Un armadietto dei server emetteva un suono ronzante in un angolo. Osiride si recò a un terminale, digitò qualche comando sulla tastiera e un filmato venne riprodotto sullo schermo.
“Questo è il corridoio del dodicesimo piano dell’albergo. È la prima ripresa che abbiamo di lui, ma i miei esperti sono riusciti a ricostruire l’intero percorso che ha fatto.”
Sul monitor, un giapponese di media altezza, con capelli lunghi e un viso piuttosto anonimo uscì correndo dal bagno delle signore, lasciando dietro di sé una scia di goccioline d’acqua. Indossava un kimono, anch’esso completamente zuppo, e teneva stretto in una mano un lungo scopettone. Una signora di mezza età che si apprestava a recarsi al bagno lanciò un urlo, e Miyamoto le diede lo scopettone sulla testa urlando un KIAI che la mandò lunga e distesa al suolo, dopodiché corse verso le scale di servizio.
Nelle riprese successive si vide lo spadaccino saltare i gradini quattro a quattro, arrivare fino al piano terra, stendere un membro del personale di sicurezza che gli aveva urlato qualcosa con il secondo KIAI di scopettone in pieno cranio e correre fino all’ingresso principale tra le esclamazioni allarmate della folla di giocatori.
L’ultima ripresa dove Miyamoto era inquadrato lo vedeva nel parcheggio del Luxor, con un’espressione piuttosto inquieta, alzare l’arma improvvisata al cielo, per poi venire inghiottito dalla folla di persone e dall’andirivieni di automobili di lusso e taxi.
“Il video termina qui – disse Osiride spegnendo lo schermo – non sappiamo che fine abbia fatto da quel momento in poi, e la signora colpita appena fuori dal bagno e la guardia di sicurezza sono ancora in ospedale con una commozione cerebrale.
“La folla ha nascosto quello che ha fatto dopo, ma se non ci sono state altri feriti in zona significa che o è fuggito a piedi, oppure…”
“Oppure, dottor Tesla?”
“Mi faccia rivedere l’ultima parte del filmato.”
Osiride riaccese lo schermo, riavvolse il video e insieme visionarono con attenzione gli ultimi secondi.
“Guardi con attenzione il gesto che ha fatto. Ha alzato quella scopa verso il cielo.”
“Un gesto vittorioso, forse? Dopotutto, era appena riuscito in una fuga impossibile.”
“Io non credo, signor Osiride. Non era ancora completamente fuori tiro, e se le leggende su Miyamoto sono tutte vere, non mi sembra il tipo da abbandonarsi a un’esultanza quando non è ancora sicuro di avere la vittoria in pugno. Credo invece che abbia chiamato un taxi. Anche se non capisco come uno spadaccino del milleseicento possa avere anche solo una vaga idea di come funziona il mondo.”
“Non siamo dei trogloditi, abbiamo la tv via cavo anche nell’oltretomba. Potrebbe anche essere, dottor Tesla… ma anche se fosse, non avremmo modo di capire dove è andato.”
“Invece un modo c’è, mio caro amico divino – rispose Tesla, sarcastico – Miyamoto era appena fuggito dall’oltretomba. Non so che tipo di valuta si usi laggiù, ma sicuramente non dollari americani, dico bene?”
“Scarabei turchesi.”
“Perfetto – Tesla fece un sorriso e si lisciò accuratamente i baffi – quindi dobbiamo presuppore che Miyamoto, essendosi trovato nell’impossibilità di pagare, abbia dato sfoggio delle sue capacità belliche dando una bella legnata anche al tassista. Tutto ciò che dobbiamo fare è cercare una compagnia di taxi in cui un dipendente abbia subito un’aggressione da un giapponese armato di scopa nei giorni scorsi. Troviamo lui, e sapremo dove è andato Miyamoto.”
“La sua arguzia mi sorprende sempre più, dottor Tesla. Fossimo ancora ai miei tempi, avrei fatto mettere a morte dieci persone al giorno fino a che qualcuno non mi avesse consegnato il fuggitivo.”
“Devo ringraziare, allora, che i suoi tempi siano passati da un bel pezzo.”

Osiride si mise al telefono e dopo una mezz’ora di chiamate ad agenti di polizia corrompibili, pronto soccorso degli ospedali e amicizie varie, riuscì a scoprire che tale T-Bone Walters, afroamericano al soldo della Sunvegas Taxi Company, era stato ricoverato in ospedale per un’aggressione subita sul lavoro giusto qualche notte prima. Il dio egiziano chiamò la compagnia di taxi per farsene mandare uno, e dopo circa dieci minuti erano al Saint Nichols Hospital, dove l’infortunato stava trascorrendo la sua degenza. Allungarono un paio di mazzette agli infermieri per accedere alla corsia di notte, e Osiride diede una bella mancia al convalescente T-Bone, che fu molto felice di rivelare l’indirizzo a cui Miyamoto si era fatto trasportare, un quartiere piuttosto malfamato nella zona sud di Las Vegas. Dopo pochi minuti, erano nuovamente in viaggio.
“Mi tolga una curiosità, signor Osiride”, disse il dottore mentre si trovavano sul sedile posteriore del veicolo.
“Chieda pure. Ma non mi chiami signore, non è il caso, semplicemente Osiride.”
“Come gradisce. Per quale motivo un giapponese del milleseicento, probabilmente di fede buddhista o shintoista, si trovava nell’oltretomba egiziano?”
“Come le ho detto, dottore, non ho mai capito come funzionano le cose. Dietro l’amministrazione delle anime c’è tanta di quella burocrazia che non ho mai avuto la tentazione di metterci becco. Quello che posso dirle è che non accade praticamente mai che le anime giungano nell’aldilà predicato dalla propria fede. Ho visto una gran quantità di cristiani giungere ai campi elisi, nativi americani vagare nelle terre di latte e miele predicate da Maometto, e seguaci degli spiriti della foresta africani marcire all’inferno. Perché funzioni così? Non lo so, ma quello a cui credo fermamente è che chi ha deciso come debba essere svolto il nostro lavoro sia un gran burlone. Ha idea di quanto sia divertente gustarsi l’espressione di un fervente cattolico, che per tutta la vita ha atteso di essere condotto davanti al cancello di San Pietro, venire portato via dalle Valchirie? Anche io fatico a rimanere serio quando mi arriva l’anima di un mormone. La sua espressione di stupore quando vede piuma, bilancia dorata e varie divinità coperte d’oro sedute sui troni è semplicemente esilarante.”
Chi ha deciso come funziona il vostro lavoro?”
“Questo è un mistero di cui non ho la risposta, dottore.”
Il tassista, nel frattempo, stava lanciando occhiate ai due passeggeri. Mancò poco che centrasse in pieno una berlina di lusso che stava sfrecciando nella corsia opposta, tra le luminose insegne al neon della Las Vegas notturna.
“Pensi a guidare, lei”, lo apostrofò Osiride.
Il quartiere dove il tassista li condusse era il paradiso dei centri massaggi. Cinesi, giapponesi, indonesiani, thailandesi, vietnamiti e tutte le etnie dell’estremo oriente avevano una loro rappresentanza locale, e le signorine coperte da tessuto insufficiente a fabbricare un coprilampada erano onnipresenti, per la maggior parte affacciate alle finestre superiori degli edifici.
Alcune si urlavano frasi nelle loro lingue da un lato all’altro della strada, accompagnate da lanci di uova di anatra fecondate, gamberi di fiume e pesci surgelati.
“Fortunatamente, non ci sono ristoranti in vista”, osservò Osiride.
“Cosa pensa che sia venuto a fare qui Miyamoto?”
Osiride sorrise. “Si trovava nell’oltretomba da oltre tre secoli, ridotto ad una forma spettrale impossibilitata a provare qualsiasi sensazione fisica. Il motivo per cui è corso qui immediatamente dopo la fuga, dottore, mi è molto chiaro.”
“Stiamo parlando dello stesso Musashi Miyamoto, vero? Le leggende dicono che non si sia nemmeno mai fatto un bagno, per non rimanere disarmato per pochi minuti. Stiamo parlando dello stesso Miyamoto che non temeva la morte, e che aveva dedicato la sua intera esistenza alla via della spada?”
“Proprio lui. Ma sono sicuro che dopo trecento anni di talk show e soap opera scadenti alla televisione, abbia riveduto almeno in parte la sua filosofia.”
Scesero dal taxi e Osiride si occupò di saldare il conto. Dopo aver preso i soldi senza neanche contarli, il tassista se ne andò sgommando e scuotendo la testa come un ossesso.
Il dio egiziano si recò con aria risoluta verso uno dei tanti centri massaggi. Sull’insegna sopra la porta d’ingresso, spiccavano disegni di gatti dorati e bandiere del sol levante. Per poco, Tesla non venne colpito in piena faccia da un salmone/futuro sushi lanciato da una delle ragazze con una mira poco invidiabile.
Varcarono la porta, Osiride con un’espressione affabile dipinta sul volto, Tesla piuttosto imbarazzato.
“Qualcosa non va, dottore?”
“Non sono mai stato grandemente interessato a posti come questo, l’argomento mi crea più disagio che altro.”
“Non ci rimarremo molto, stia sereno. Giusto il tempo di chiedere qualche informazione.”
Una matrona estremamente truccata con indosso un kimono rosso e dozzine di bastoncini dorati tra i capelli venne loro incontro. Osservò la valigia da cui il dottor Tesla non si era ancora separato, poi si rivolse a loro in un inglese stentato.
“Buonasera onorevoli ospiti. Io avvisa che se voi fare giochetti strani mie ragazze no problema, ma extra da pagare.”
“Gentile signora, non siamo qui per vedere le sue ragazze, per quanto la cosa mi farebbe piacere. Siamo qui perché stiamo cercando una persona.”
“Qui nessuno. Voi no creare problemi. Voi polizia?”
Osiride non rispose, ma le lanciò un’espressione che lasciava intendere che probabilmente era così.
“Cerchiamo un uomo che sono piuttosto certo sia passato di qui qualche notte fa. Un giapponese dall’espressione truce, capelli lunghi. Aveva sicuramente con sé uno scopettone. Se fosse in grado di aiutarci, leveremmo subito il disturbo.”
“Uomo con scopa, io detto che qui scopare ma non in quel senso, lui no capito molto. Io pensato che forse scopa era per giochetti strani. Lui stato con una ragazza, poi due, poi tre. Poi scoperto che no aveva soldi per pagare, così lui proposto lavare piatti e rassettare stanze. Fosse stato bianco o nero o rosso io avrei detto no, tu paga o chiama Bussho, lottatore di sumo, a rompere ossa. Ma lui giapponese, lui detto cercare aiuto, allora io accettato anche perché a Bussho simpatico. Noi dato stanzetta di sopra, lui persona molto tranquilla, ma ogni tanto urla forte. Lui forse fa cose strane con scopa, non sa bene.”
“Aspetti, mi sta dicendo che si trova ancora qui?”
“Sì, lui fatto lavori stasera e poi andato a dormire.”
“Signora, deve sapere che l’uomo che sta ospitando è molto pericoloso. Si tratta di… sì, di un ricercato, ed è nostro compito consegnarlo alla giustizia. Sono certo che se ci garantisse l’accesso alla sua stanza, voi e il vostro centro massaggi non incorrerete in alcun rischio penale. La complicità è un’accusa molto grave. O forse dovrei far controllare i passaporti a lei e a tutte le sue ragazze?”
La donna alzò le mani in segno di resa. “Io no vuole problemi, io no vuole problemi! Voi andare pure, lui di sopra a terzo piano, io da voi chiave di riserva.”
Così fece. Dopo aver consegnato la chiave della stanza ad Osiride, li condusse alle scale interne dell’edificio e si affrettò a sparire tra i corridoi, come un fantasma della cinematografia nipponica.
“Bene dottor Tesla, siamo alla resa dei conti. Arrivare fin qui è stato più facile di quanto credessi, ma i veri problemi arriveranno ora. Siete pronto?”
Per tutta risposa, il dottore appoggiò la valigia per terra e la aprì lentamente. Al suo interno si trovava un grosso apparecchio elettrico, simile a uno zaino metallico dotato di due grosse bobine collegate tramite un robusto cavo a un arnese simile a un guanto di cuoio e rame. Tesla si assicurò le bobine alla schiena con una serie di cinghie, infilò il guanto alla mano destra e girò una manopola situata sul palmo. Dopo pochi istanti si sentì un crepitio e le bobine iniziarono a generare dei lampi elettrici dall’aspetto piuttosto pericoloso. Ad entrambi si rizzarono i capelli in testa, l’aria iniziò a odorare di ozono, ma a parte ciò non ci furono altre conseguenze negative.
Il guanto di rame mandò qualche breve scarica elettrica.
“Sono pronto.”
Salirono le scale incontrando un paio di ragazze che dovevano sicuramente essere esperte massaggiatrici sportive, e arrivarono di fronte alla porta dell’interno 3. Osiride estrasse da sotto la giacca un bellissimo esemplare di kopesh egiziano, con la lama in bronzo e l’elsa ornata di rubini e altre pietre preziose. Come avesse fatto a nasconderlo sotto gli abiti senza che ne risaltasse almeno la sagoma, era un mistero che il dottor Tesla non avrebbe mai risolto.
Osiride allungò la mano libera verso la maniglia, ma le sue dita afferrarono solo l’aria. Un giapponese, non zuppo d’acqua come nei video che avevano visionato, ma sicuramente ugualmente arrabbiato, aveva aperto la porta proprio in quell’istante. I due fecero appena in tempo a vedere che nella mano destra non stringeva affatto uno scopettone, ma una katana di fattura eccezionale.
Con un KIAI degno dell’urlo di Chen, Musashi Miyamoto alzò la spada e la calò su Osiride con la rapidità di un fulmine, che non poté fare altro che subire impassibile il fendente. Il dio egiziano venne colpito alla spalla sinistra, la lama affondò nella carne e scivolò verso il braccio recidendoglielo di netto. L’arto mozzato cadde a terra con un sonoro spaf!
Il volto di Osiride assunse un’espressione allarmata, ma non ci fu traccia del puro orrore che ci si sarebbe aspettati da una persona a cui è appena stato strappato un braccio. Tentò di contrattaccare con il kopesh, ma Miyamoto parò i colpi con una naturalezza, come se non avesse mai fatto altro dalla culla (un fatto non del tutto immaginario) e indietreggiò.
Il dottor Tesla alzò la mano coperta dal guanto verso il suo avversario, ma la colluttazione in atto con il dio egiziano gli impedì di prendere la mira, così decise di attendere ancora per qualche istante.
Osiride riuscì a colpire di striscio Miyamoto al ventre, ma capì subito che non si trattava di una ferita di gran conto. Nel frattempo, il leggendario spadaccino ebbe il tempo di incalzare il suo avversario di colpi, l’ultimo dei quali lo centrò alla base del collo, tagliandogli di netto la testa.
Il dottor Tesla comprese in quell’istante che non ci sarebbe stato un secondo momento per colpire. Le particelle d’ossigeno nell’aria si fermarono per un breve istante, poi una scarica di elettricità di un bianco purissimo colpì in pieno il ronin fuggitivo. I vestiti bruciarono, il suo petto prese fuoco, e vomitò delle scintille bluastre dalla bocca e dagli occhi. Fu solo un breve istante di dolore, poi il suo corpo privo di vita cadde per terra, a fianco di quello di Osiride.
Nikola Tesla si avvicinò con circospezione, osservando con orrore come era ridotto il povero Osiride. Era davvero possibile uccidere un dio? Se la risposta era sì, Musashi Miyamoto ne era stato in grado.
Poi accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Il corpo del ronin, che ancora stava emettendo scintille e fumo, balzò in piedi. Tesla non capì cosa stesse succedendo fino a che la katana di Miyamoto non gli trapassò lo sterno. Il dottore cercò appoggio sulla parete, ma le gambe non gli ressero e scivolò lentamente a terra. Il suo avversario, ridotto a una sorta di fantasma affumicato, prese la porta e sparì.
Il dottor Tesla scivolò nell’incoscienza per qualche istante, poi riprese i sensi. Era già passato per una situazione del genere, anche se le ferite che aveva subito in passato non erano sicuramente così gravi. Sperò che anche questa volta la sua speciale batteria risolvesse la situazione.
Le sue aspettative non furono tradite. Con un crepitio elettrico, la ferita iniziò lentamente a rinsaldarsi. Dopo pochi minuti riuscì di nuovo a respirare normalmente, e lentamente si rialzò.
Era stata una delle sue ultime invenzioni prima di “morire” ufficialmente, ma una volta resosi conto delle capacità di quell’apparecchio aveva deciso di non rivelarle a nessuno e tenersi per sé il progetto, almeno fino a quando l’umanità non fosse stata pronta. Tesla era arrivato alla conclusione che tutto, nell’universo, è governato dall’energia elettrica, anche se a livello infinitesimale. La sua batteria, innestata nei pressi del cervelletto (operazione che aveva fatto compiere a un chirurgo di fiducia) inviava impulsi elettrici localizzati, che permettevano di rigenerare completamente il corpo e rallentare enormemente i processi di invecchiamento, donando a tutti gli effetti l’immortalità. La batteria veniva ricaricata dall’energia cinetica prodotta dal corpo in movimento, quindi sarebbe durata in eterno. Tesla aveva considerato che l’unico modo per ucciderlo definitivamente, classico dei classici, sarebbe stato tagliargli la testa. In quel caso, l’energia accumulata nella batteria sarebbe stata probabilmente insufficiente per ricostruire il resto del corpo, anche se era un esperimento che non aveva nessuna intenzione di compiere.
Cercò di togliersi il sangue dalla camicia, ma l’unico risultato che ottenne fu quello di sporcarsi le mani, e si guardò intorno indeciso sul da farsi.
“Ci è sfuggito, vero?”, disse una voce con un familiare accento egiziano. Il dottor Tesla guardò stupefatto verso il cadavere decapitato di Osiride, e si accorse che la testa lo stava fissando.
“Prego?”
“Ho chiesto se ci sia sfuggito – disse la testa – ma date le sue condizioni, dottore, la risposta mi sembra palese.”
“Signor Osiride, me lo lasci dire: mi ha definitivamente convinto. Non ho più motivo di dubitare delle storie che mi ha raccontato, per quanto assurde possano sembrare.”
“Sono molto contento, dottore, ma credo che dovremo rimandare a dopo i festeggiamenti. Dobbiamo prendere Miyamoto prima che ci sfugga definitivamente. Mi dia una mano a rimettermi in sesto.”
Il dottor Tesla fissò la testa un po’ frastornato. “Come dovrei aiutarla, esattamente?”
“Trovi ago e filo, e veda di ricucire i pezzi al posto giusto. Non si preoccupi, mi è già successo una volta. Ci aveva pensato Iside, la mia ex-moglie, ma non ho la minima intenzione di chiamare quell’ingrata per farmi vedere così umiliato. Sono sei millenni che le pago gli alimenti, ma quella è una vera e propria voragine senza fondo. Dovremo ricorrere alle sua capacità. Si sbrighi, per favore.”
Il dottor Tesla cercò nel bagno del piccolo monolocale, e trovò una cassetta del pronto soccorso con l’occorrente necessario. Anche se disgustato dal compito, si mise diligentemente all’opera.
“Miyamoto ci stava aspettando – disse Osiride, mentre il dottor Tesla si occupava di ricucire il braccio – sapeva che stavamo andando a prenderlo. La vera domanda è: chi l’ha avvisato? La matrona del centro massaggi?”
“Non credo, la minaccia di controllarle il passaporto è stata più che sufficiente. Ma allora chi è stato?”
“Sono stato io”, disse una voce maschile dal pesante accento giapponese.
L’uomo più grosso – anzi, più grasso – che i due avessero mai visto fece il suo ingresso nella stanza, passando a malapena dalla porta. Era completamente calvo, portava ai lobi delle orecchie due grossi orecchini d’oro e indossava una camicia hawaiana, anche se sarebbe stato più giusto dire che indossava una tenda di pessimo gusto. L’espressione sorridente sul suo volto era talmente fuori luogo da essere disarmante.
“Mi faccia indovinare, lei è Bussho, il lottatore di sumo”, disse Tesla.
“Non esattamente – disse Osiride prima che il giapponese grasso potesse prendere parola – Buddha, è una vita che non ci vediamo. Speravo che fosse in circostanze migliori.”
Se possibile, il sorriso del giapponese si fece ancora più largo.
“Già, una circostanza piuttosto spiacevole, devo dire. Spero vogliate perdonarmi per questo piccolo inconveniente, ma non potevo permettere che Musashi venisse catturato. Certo, avrei preferito che non avesse agito in maniera così violenta, ma è quella la sua natura.”
“Come mai ti interessa tanto la sorte di Miyamoto? È fuggito dall’oltretomba, si tratta di una violazione parecchio grave nell’ordine cosmico dell’universo… credevo che a te queste cose importassero.”
Il dottor Tesla completò l’opera di sutura sul corpo di Osiride, che mosse la mano sgranchendosi i muscoli. Non c’era più alcuna traccia delle ferite subite.
“La sua anima era destinata a me. A ricongiungersi con me, divenire parte del tuttuno. Questa burocrazia divina riesce a mandare in crisi la mia proverbiale calma, te ne rendi conto? Appena ho saputo della sua fuga ho deciso che sarebbe stato giusto concedergli una possibilità. Non posso interferire ulteriormente, anche perché credo proprio che in questo momento stia per sfuggirvi definitivamente.”
“Gli hai parlato dei poteri della cucina cinese”, disse Osiride, cupo.
“È così, ma non ha ancora compiuto questo passo. Egli è giapponese, devoto all’onore e alla guerra, non può mangiare del cibo cinese senza che quest’onta macchi per sempre la sua esistenza. Ha trascorso i giorni dalla sua fuga qui, a lavorare e meditare, cercando di comprendere cosa fosse giusto fare: ritornare prigioniero, ma con l’onore intatto, oppure trovare la libertà pagando un prezzo molto, molto alto. Ma credo che il vostro attacco l’abbia portato a compiere la scelta definitiva.”
Nel frattempo, Tesla stava esaminando con attenzione la stanza. Era arredata in maniera semplice e spartana. A terra c’era un futon, lo scopettone di proprietà del casinò Luxor faceva bella mostra di sé in un angolo, con il manico ancora macchiato di sangue rappreso, e su un piccolo tavolino c’erano fogli vergati da caratteri giapponesi. Tra questi, notò un piccolo biglietto da visita nero, su cui era disegnata una tigre e faceva bella mostra di sé la scritta Green Chair Dragon.
“Osiride, eravamo in questo posto poche ore fa.”
“Ho avuto modo di assaggiare i loro ravioli, la magia nera scorre potente in quella cucina”, affermò l’egiziano.
Il Buddha annuì impercettibilmente. “Ciò che accadrà ora, è solo il destino a volerlo. Miyamoto dovrà compiere la sua scelta, ma sarò in pace con me stesso sapendo di avergli concesso una possibilità.”
“Sì, va bene, ora basta con tutte queste cazzate sull’equilibrio cosmico, le cose andavano molto meglio prima che ti trasformassi in un culto new age. Dottor Tesla, muoviamoci, forse lo possiamo ancora intercettare. Buddha, sappi che se ci rivedremo, sarò lieto di farti assaggiare i miei compassionevoli pugni.”
I due corsero via, appiattendosi contro le pareti dell’angusta stanzetta quando passarono di fianco al Buddha. Il suo sorriso si allargò ancora di più, tanto che a un uomo comune sarebbe sicuramente esplosa la faccia.

I viaggi in taxi facevano parte del loro destino. Osiride sganciò duecento dollari al tassista, e gli disse che ce ne sarebbero stati altri duecento se li avesse condotti al Green Chair Dragon in meno di dieci minuti. Il tassista promise che ce ne avrebbe messi otto.
“Non sono convinto che sia una buona idea, Osiride”, disse il dottor Tesla.
“Per quale motivo? Dobbiamo intercettarlo prima che tocchi quel cibo.”
“Ha già dimostrato la sua superiorità nell’arte bellica. È vero, siamo stati presi alla sprovvista, ma Buddha potrebbe averlo avvisato di nuovo. Credo che sia il caso di giocare d’astuzia, invece.”
“Ha in mente qualcosa?”
Nikola Tesla gli disse cosa aveva in mente. Osiride disse al tassista di fare una deviazione.

Arrivarono al Green Chair Dragon un’ora dopo, con il cuore in gola, speranzosi che Miyamoto non avesse ancora compiuto il gesto definitivo. Tesla aveva ritirato il Raggio della Morte nella valigia, e Osiride teneva un sacchetto di carta tra le mani.
“Ci ha messo molto, quel tuo dipendente”, disse il dottore.
“È un’artista, non si deve mettere fretta all’arte.”
“Peccato che il nostro bersaglio non badi a certe cose. Potrebbe avere già mangiato.”
Entrarono di tutta fretta, il locale era in chiusura e un ragazzino cinese stava ripulendo il pavimento dalla porcheria gettata dai clienti. Miyamoto era seduto allo stesso tavolo che Osiride e Tesla avevano occupato poche ore prima. Sul suo corpo non c’era più traccia delle bruciature causate dal Raggio della Morte, e davanti a sé aveva una ciotola di salsa di soia e un involtino primavera, fortunatamente intatto. Quando li vide, si irrigidì e portò la mano sotto il tavolo, dove probabilmente nascondeva la spada.
“Signor Miyamoto, siamo disarmati – disse Osiride – vogliamo solamente parlare a tu per tu.”
Il ronin li scrutò con attenzione, assottigliando ancora di più gli occhi. Tesla appoggiò la valigia a terra e alzò le mani cautamente. Stessa cosa fece Osiride, tenendo però il sacchetto di carta spiegazzato ben stretto.
Il giapponese fece cenno ai due di avvicinarsi, che lentamente si diressero al tavolo.
Il ragazzino cinese che stava pulendo il pavimento disse semplicemente “cucina chiusa, no serve”, poi tornò ai suoi compiti.
“Ha già mangiato?”, chiese Osiride.
“Non ancora – disse Miyamoto – sento lo sguardo di rimprovero dei miei antenati su di me. Non avrebbero voluto che arrivassi a questo, ma è un passo necessario che devo compiere. Giungere alla comprensione del Vuoto, il quinto anello, è stato molto più semplice che intingere questo involtino fritto nella salsa. Ma ora non ho più tempo. Vivrò per sempre con l’onta, ma sarò libero dalla morte. Quando scrissi il libro dei cinque anelli per il mio allievo, non sapevo che la morte sarebbe stata così maledettamente noiosa.”
Osiride allungò la mano dentro il sacchetto di carta, e Miyamoto si irrigidì improvvisamente. Nessuno dei due seppe dire come la spada venne estratta da sotto il tavolo, ma in un battito di ciglia si trovava davanti a loro.
“Non temo la sua spada, signor Miyamoto – disse Osiride sudando freddo – certo, non posso negare che essere fatto a pezzi sia una noiosa seccatura e che sia dannatamente doloroso, ma per me non è niente di definitivo. Ad ogni modo, qui dentro non c’è un’arma. Mi permetta di mostrarle il contenuto, e forse riuscirò a farla ragionare.”
Il ronin non disse nulla, e Osiride interpretò la cosa come un assenso. Il dio tirò fuori dal sacchetto un contenitore trasparente, al cui interno c’erano una ventina di pezzi di sushi.
Fettine di salmone, polipo, tonno e spigola facevano bella mostra di sé su piccole polpette di riso bianco. Il tutto era accompagnato da una pallina di wasabi e fettine di zenzero in agrodolce, servito su un letto di foglie di insalata. Era un piccolo capolavoro culinario confezionato dallo chef del casinò Luxor.
“Vuole davvero tradire la sua cultura, il suo paese, i suoi antenati, il suo mercato ittico?”, chiese Tesla.
“La libertà ha davvero un prezzo così alto? La comprensione della strategia del guerriero, dell’onore, dei cinque anelli, vale davvero un semplice involtino primavera?”, chiese Osiride.
“Lo mangi, e non sarà mai più lo stesso. La sua leggenda sarà finita, e sicuramente avrà dei noiosi problemi intestinali l’indomani mattina.”
Miyamoto, tremando visibilmente, osservò il sushi e l’involtino primavera. La difficile scelta lo stava minando dall’interno. Passarono venti secondi interminabili per tutti quanti, consumati dalla tensione di quello che sarebbe sfociare in un combattimento all’ultimo sangue.
Poi il ronin lanciò un urlo, scagliò a terra il piatto con l’involtino primavera e, afferrate le bacchette, si dedicò al sushi. Ne mangiò alcuni bocconi con una calma invidiabile, degustando il pesce crudo, e aggiungendo piccoli tocchi di wasabi per far raggiungere al piatto un sapore unico.
Il ragazzino che stava pulendo il locale si avvicinò con un’espressione irritata, osservò l’involtino primavera sul pavimento e fece per dire qualcosa, ma Miyamoto afferrò la spada e si avventò su di lui con un KIAI. Solo la prontezza di Osiride evitò che il pavimento venisse macchiato da qualcosa di ben più rosso che la salsa di soia.

Dopo l’onorevole pasto, Miyamoto depose la spada e accettò di farsi riportare nell’oltretomba, prigioniero sì, ma con l’onore intatto. I suoi antenati erano sicuramente fieri di lui.
Osiride chiamò un taxi, e approfittò dell’attesa per scambiare due parole con Tesla.
“Dottore, è stato un vero piacere lavorare con lei. Me lo lasci dire, la sua mente è un’arma ben più pericolosa dei suoi raggi elettrici. È benvenuto al Luxor, se gradisce fermarsi per un po’ a Las Vegas. Sono sicuro che la città dalle mille luci verrà grandemente apprezzata da un uomo come lei.”
“Osiride, questa storia ha minato profondamente la mia percezione della realtà. Fino a ieri avrei considerato alla meglio un pazzo furioso chiunque mi avesse detto che le divinità esistevano veramente. Dovrò ricominciare i miei studi, consapevole che forse un po’ di magia esiste, in questo mondo…”
“La chiami magia, la chiami scienza, ma è quello che è, e nient’altro. Sono semplicemente modi diversi di vedere le cose.”
Tesla si lasciò andare a un sorriso cortese. “Avrei un favore da chiederle.”
“Qualsiasi cosa, mio buon dottore.”
“Visto che non credo che ne avrò mai più la possibilità, mi chiedo se sia possibile visitare l’oltretomba. Sarebbe sicuramente una gita interessante.”
“Meno di quanto si creda, dottore. Meno di quanto si creda. Ma accolgo di buon grado la sua richiesta.”
Il taxi arrivò, e il dio, lo spadaccino e lo scienziato salirono sopra, diretti al casinò Luxor e alla porta verso il Duat.
Dalla soglia del Green Chair Dragon, un frastornato e impaurito ragazzino cinese li guardò allontanarsi, tenendo stretto in pugno un oleoso e ormai gelido involtino primavera.