Wonton [xwə̌n
tʰwən] tipo di raviolo comunemente associato a numerose varietà della cucina
cinese.
Maat [muʔ.ʕat] concetto
di verità, equilibrio, ordine, legge, moralità e giustizia nell’antico Egitto;
la piuma di Maat faceva parte del rito della pesatura del cuore.
La puzza di
fritto gli penetrò fino al cervello non appena mise piede nel locale. La
rosticceria Green Chair Dragon non
era un ambiente molto grande, e contava di appena otto posti a sedere, più un
paio al bancone dove una cinese minuta e probabilmente ancora minorenne stava
scacciando le mosche con un ventaglio di carta. L’insegna del locale era una
tigre al neon con occhi di un luminoso viola.
Nikola Tesla
pensò che chi aveva scelto il nome del posto doveva avere le idee un po’ confuse.
L’unico cliente
aveva scelto il tavolo più lontano dal bancone, e stava mangiando dei ravioli
di carne con scarsa convinzione, intingendoli prima in una piccola scodella
colma di salsa di soia. Era un ometto basso, non grasso ma nemmeno in forma, con
la pelle olivastra tipica degli egiziani e un completo simil-agente della CIA che sembrava non infastidirlo nonostante il
caldo e l’odore opprimente di cose morte
e poi fritte. Il dottor Tesla notò che aveva una leggera traccia di matita
sotto gli occhi, e in quel momento ebbe la certezza che quello era l’uomo che
l’aveva invitato in quel posto.
Ignorò la cinese
che gli stava chiedendo in un inglese stentato se volesse ordinare e andò
diretto al tavolo, sedendosi di fronte al suo occupante.
“Dottor Tesla, è
un vero piacere incontrarla di persona”, disse l’egiziano, dimostrando una
buona padronanza della lingua nonostante l’accento di cui non era ancora
riuscito a liberarsi completamente.
Gli tese la
mano, ma Tesla la guardò assumendo un’espressione disgustata.
“Mi perdoni, ma
non stringo mai le mani, tantomeno se prima hanno toccato le porcherie che
servono in luoghi come questi. Sono molto attento riguardo all’igiene del mio
corpo.”
L’egiziano
mantenne un’espressione gioviale e ritrasse la mano.
“Mi perdoni se
la cosa mi stupisce un po’. Non vedo perché lei debba preoccuparsi di germi o
malattie, visto che sono decenni che ha ottenuto l’immortalità.”
“Non avere più
la morte alle calcagna non è un buon motivo per perdere una buona abitudine
acquisita nel corso degli anni. Ma veniamo al dunque subito. Nella telefonata
che mi ha fatto, è stato molto vago su cosa vuole da me. È riuscito a
contattarmi e sa chi sono realmente, quando l’intero pianeta è convinto che io
sia morto da molto tempo. Sono venuto qui senza fare questioni, accettando di
incontrarla alle sue condizioni, e spero di non aver perso il mio tempo
facendolo. Quindi, mi perdoni la domanda schietta, ma posso sapere chi è lei?”
“I più mi
conoscono come Jussef O’Cyris, proprietario del 27% del casinò Luxor, qui a Las
Vegas. Un bell’ammasso di luci colorate, fontane di similoro e graziose ragazze
che per lavoro si travestono da Cleopatra, anche se non hanno nemmeno un decimo
della sua grazia. Lei, dottor Tesla, può chiamarmi Osiride.”
“Come il dio egiziano?
Mi pare un po’ altisonante.”
“No, dottor
Tesla – rispose lui, mantenendo il tono gioviale – non come il dio egiziano. Sono proprio io, in carne, ossa e spirito,
con oltre sette millenni di storia alle spalle.”
Tesla assunse
un’espressione scettica e si limitò a osservare con attenzione il suo compagno
di conversazioni. La scienza aveva costituito per tutta la sua vita un ruolo
estremamente importante, e sebbene rispettasse le convinzioni religiose a
livello filosofico, non aveva mai ritenuto possibile che una qualsiasi divinità
esistesse veramente. Tantomeno un dio con un aspetto così anonimo e
insignificante.
“Mi perdoni, ma
sono piuttosto scettico sulla sua affermazione.”
“Da lei non mi
sarei aspettato niente di diverso, dottore. Ma se vuole, le darò una piccola
dimostrazione del mio potere. Forse la convincerò, forse no, ma sono sicuro che
dopo avrò la sua completa attenzione e potremo passare alla questione che
voglio sottoporle.”
“Proceda pure”,
disse Tesla, incuriosito. Durante la lunga vita aveva assistito a spettacoli di
sedicenti maghi e mentalisti, ma ognuno di questi aveva un semplice trucco alla
base delle sue capacità straordinarie. Era sicuro che anche questo sedicente
dio egiziano non fosse nient’altro che un cialtrone.
“Sarò costretto
a toccarla. Non è necessario che mi dia la mano, se la cosa la infastidisce,
posso anche toccarla attraverso i vestiti.”
“Proceda.”
L’egiziano
afferrò saldamente la manica della giacca velluto marrone del dottore, e
assunse un’espressione concentrata per alcuni istanti. Poi sorrise, lasciò la
presa e rivolse nuovamente lo sguardo al dottore.
“Nel 1878,
quando studiava presso l’Università di Praga, attaccò un compagno di studi,
Karl Gospic, in seguito a una lite nata durante lo studio di alcuni trattati
sull’elettromagnetismo. Ebbe un’allucinazione durante il combattimento, e colpì
con violenza il volto di Karl. Divenne cieco dall’occhio sinistro, ma lei
riuscì a passarla liscia sostenendo di essere stato attaccato per primo.”
“Interessante,
signore – rispose Tesla senza scomporsi – ma sono stati scritti numerosi
trattati e libri su di me. Per quanto sia una storia sconosciuta ai più, l’avrà
sicuramente letta da qualche parte. Cosa ha intenzione di dimostrare con
questo?”
“Io sono
Osiride, mio buon dottore. Posso sentire il peso dei suoi crimini gravare sul
suo cuore. Potrei anche dirle che quando aveva sette anni rubò due mele verdi
dal mercato di Smiljan, oppure che a tredici anni e mezzo amava recarsi nelle
stalle della fattoria di vostro padre durante la notte e osservare
silenziosamente vostra sorella accoppiarsi con ardore con Goran, lo stalliere,
o molte altre sconcezze, ma credo che la conversazione diventerebbe
sconveniente e imbarazzante per entrambi. Non è necessario che creda alle mie
parole, come ho detto, ma voglio che lei sia pronto ad ascoltare ogni cosa che
le sto per dire, per quanto assurda possa sembrare. Ho la sua parola?”
Il dottor Tesla
era impallidito quando Osiride aveva nominato Goran e sua sorella. Non aveva
mai raccontato a nessuno quella storia. Non avrebbe mai potuto spargere in giro
una voce così imbarazzante sul suo conto.
“Ha la mia
completa attenzione, signore”, disse con un filo di voce.
Osiride afferrò
l’ultimo raviolo con le bacchette, lo intinse nella salsa e se lo portò alla bocca,
masticando lentamente.
“Molto bene,
dottore. L’ho contattata e ho voluto incontrarla perché lei è l’unico che può
aiutarmi a risolvere una questione. Oltre la sua esperienza sconfinata nella
scienza, so che lei ha studiato un po’ le religioni. Come ben saprà, il mio
ruolo tra gli dèi è quello di guardiano dell’oltretomba. Mi occupo di pesare i
cuori, anche se in senso puramente figurato, e decidere chi ha il compito di
ascendere in luoghi ameni e chi no.”
“Mi sta dicendo
che le antiche divinità egiziane sono reali, e tutte le altre fedi sono
fasulle?”
“No, non
esattamente. In realtà, non ho ancora ben capito nemmeno io come funzioni, e
sono millenni che ci sono dentro. C’è un gran giro di anime, dannati, entità
ultraterrene e altre cose che farebbero impazzire completamente un teologo.
Thor è un mio caro amico, andiamo spesso a bere insieme nel Valhalla, un ottimo
bar sui fiordi norvegesi. Jhwh è un brontolone vendicativo, e preferisco averci
poco a che fare. I kami shintoisti amano un sacco giocare d’azzardo e bere vino
di prugne, infatti quando vengono al Luxor faccio sempre dei grandi affari.
Potrei andare avanti a raccontarle le buffonate degli dèi tutta la serata, dottor
Tesla, ma sarebbe un disutile spreco di parole. Forse quando avremo risolto la questione,
se sarà interessato, potremo continuare a disquisire sull’argomento.”
“Vada avanti”,
disse Tesla, mentre i suoi occhi si spalancavano sempre più per lo stupore.
“Il mio compito
non è solo quello di giudicare, ma anche di fare la guardia a coloro che
entrano nei miei domini. Le anime condannate all’oltretomba, o Duat nella lingua antica, non se la
passano così male. Non ci sono torture e dannati come nell’inferno cristiano,
ma mi creda, è tutto di una noia mortale. Sono solo a gestire la baracca, e non
ho tempo e fondi sufficienti per fornire divertimenti ai miei ospiti. Così può
capitare che una di queste anime, ogni tanto, tenti di scappare per ritornare
sulla Terra. Finora non c’era mai riuscito nessuno, ma un paio di notti fa
qualcuno è riuscito a sfuggire alla guardia del mio fedele Ammit dandogli in
pasto una bistecca di dromedario piena di sonnifero.”
“Ammit
sarebbe…?”
“Il migliore
amico del guardiano dell’oltretomba. Testa di coccodrillo, parte anteriore del
corpo di leone, e parte posteriore di ippopotamo. Sa fare pipì nella lettiera e
non sporca in giro, purché gli si dia sempre da mangiare. L’ho anche addestrato
a riportare i bastoncini.”
“Bene signor…
Osiride – disse Tesla, con un tono di voce lievemente sarcastico – mi pare che
lei abbia un problema di sicurezza, ma io come posso aiutarla?”
“Mi lasci
completare il mio racconto, dottor Tesla, e presto le sarà tutto chiaro. Coloro
che riescono a scappare dal Duat si
ritrovano qui, a Las Vegas, all’interno del Luxor. I miei impegni lavorativi in
entrambi i mondi mi hanno costretto a ritirarmi dall’Egitto, così l’unica porta
esistente per l’oltretomba si trova nel gabinetto delle signore al dodicesimo
piano. Ho fortunatamente installato un sistema di sicurezza ulteriore, un
cristallo magico sul tetto del casinò, che fa sì che le anime fuggitive non
riescano ad allontanarsi di troppo dalla porta dell’oltretomba. Più
precisamente, sono costrette a rimanere entro i confini della città. Ma questo
sistema, purtroppo, può essere infranto da misture magiche sconosciute ai più.”
“Beh, mi sembra
che il problema sia meno grave del previsto, allora. L’anima fuggitiva conosce
questi… incantesimi?”, chiese Tesla, non potendo nascondere una nota di
ribrezzo quando pronunciò l’ultima parola.
“Ne dubito
fortemente, ma ciò non toglie che possa entrare in contatto con l’intruglio
magico per puro caso. Anzi, la possibilità che ciò accada è molto alta.”
“Per quale
motivo?”
Osiride fece un
gesto ampio con le braccia, indicando l’ambiente intorno a sé.
“Dottor Tesla,
lei si è mai chiesto cosa si nasconde nella cucina dei ristoranti cinesi? Cosa
mettano davvero dentro i loro ravioli?”
“Non sono
divenuto immortale facendomi domande del genere.”
“La combinazione
di elementi della cucina cinese, non la vera
cucina cinese, ma quella dei postriboli come questo, produce effetti
incredibili. Si parla di antica tradizione mescolata a un forte risentimento
razziale, decenni di immigrazione e meltin
pot culturale. Senza contare che gli ingredienti che utilizzano provengono
da luoghi che nessuno vorrebbe mai visitare. C’è una discreta possibilità che
se la nostra anima fuggitiva ingerisca un qualsiasi cibo fritto e scarsamente
digeribile uscito da una qualsiasi delle loro cucine, l’incantesimo del
cristallo venga interrotto dalla combinazione di elementi oscuri, e a quel
punto sarebbe definitivamente perduta.”
“Mi faccia
capire, dovremmo ritrovare quest’anima prima che mangi in un ristorante
cinese?”
“Precisamente.”
“Non mi è ancora
chiaro in che modo posso aiutarla.”
“Lei ha studiato
più di chiunque altro nella storia umana l’elettricità e l’elettromagnetismo.
So che i suoi studi sono proseguiti anche dopo la sua finta morte, e che ha
prodotto macchinari in grado di cose incredibili. Tra questi, il Raggio della Morte,
che durante la vita aveva solamente studiato a livello teorico.”
“È veramente
molto informato su di me, posso chiederle come ha ottenuto tutte queste
informazioni?”
“Noi antichi dèi
abbiamo i nostri metodi, che consistono in sfere di cristallo, servitori che
volano nella notte e… oh, ma chi prendo in giro, è bastato inserire una cimice
nei suoi vestiti. L’ho fatta mettere dall’uomo invisibile.”
“L’uomo
invisibile… non voglio nemmeno farle questa domanda. Il Raggio della Morte è
però stato studiato per uccidere le persone, come potrebbe servirle nel
compito?”
“Ciò che è già
morto non può morire di nuovo, e questo vale anche per il nostro amico. Si
tratta di un individuo pericoloso, e mi è necessaria un’arma pericolosa quanto
lui per riuscire a fermarlo. E poi si parla di fantasmi fuggitivi, raggi di
energia… sono sempre stato un grande fan di Bill Murray. Ha presente a cosa mi
riferisco, no?”
“No, ma non ho
la minima intenzione di chiederglielo. Questa storia è talmente assurda che il
mio cervello si rifiuta di prenderla in considerazione anche per un solo
istante. Ma sa troppe cose su di me per credere che non ci sia qualcosa sotto.
Non ho nulla da perdere, quindi mi consideri arruolato se non altro per la pura
curiosità di vedere dove andrà a finire questo sciocco scherzo.”
“Molto bene
dottor Tesla! Ero certo di poter contare su di lei. C’è un ultimo dettaglio,
ovvero l’identità dell’anima che è nostro compito recuperare.”
“Ormai sono
pronto a tutto.”
“Musashi
Miyamoto.”
“Il leggendario
spadaccino giapponese?”
“Esattamente.
Ora capisce perché ho richiesto la sua assistenza?”
“Certo, per
ritrovare Musashi Miyamoto prima che mangi del cibo cinese. Un giapponese che
mangia schifezze cinesi, che assurdità! Sarebbe più probabile il ritorno del
Messia!”
“È già accaduto.
Sette anni fa, in Afghanistan. Esattamente tre minuti dopo che il piccolo Namir
aveva ricevuto l’illuminazione divina, l’intero villaggio è stato raso al suolo
dai missili dello Zio Sam. Non aveva ancora imparato a fare miracoli.”
“Cosa vuole dire
con questo?”
“Voglio dire,
quanto sono vero io, che niente in questo mondo e negli altri è impossibile.
Persino che un giapponese si ingozzi di involtini primavera fino a esplodere.”
Raggiunsero il
Luxor prendendo un taxi. Tesla rimase silenzioso per tutto il viaggio,
scrutando senza farsi notare il suo compagno seduto a fianco a lui. Osiride
conversava amabilmente con il tassista egiziano nella sua lingua nativa, e ogni
tanto entrambi si abbandonavano a eccessi di risa.
Il dottor Tesla
ripensò all’assurdità di quella vicenda. Era sempre stato enormemente
rispettoso delle religioni, ma la ferma convinzione che la scienza potesse
spiegare ogni cosa esistente l’aveva mantenuto avvolto da un guscio di
scetticismo per tutta la vita. Persino la sua immortalità aveva una solida base
scientifica e non mistica, e se quel piccoletto egiziano era veramente Osiride
incarnato, doveva esserci sicuramente una spiegazione che non sconfinasse nel
becero occultismo.
O almeno così
sperava il dottore.
In meno di venti
minuti arrivarono al Luxor, un enorme e pacchiano edificio piramidale in vetro
illuminato da fari luminosi, con l’insegna al neon del volto di un faraone a
rendere ancora più appariscente la facciata principale.
Osiride pagò il
tassista e si recarono verso l’ingresso, dove una gran quantità di giocatori
d’azzardo di tutte le età andavano e venivano. Nikola Tesla stringeva una
grossa valigia, contenente qualcosa di estremamente pesante. Un paio di
camerieri con dei semplici gonnellini bianchi e collari dorati, un abbigliamento
simile a quello degli schiavi d’onore egiziani, salutarono la divinità in
completo con un largo sorriso rispettoso.
“Non sono
schiavi, non si preoccupi – disse lui – hanno un turno di otto ore, ferie
pagate e uno stipendio da far invidia ai croupier del Caesar’s Palace. Anche
noi antichi ci dobbiamo adattare ai tempi moderni.”
“Dove stiamo
andando?”
“La fuga di
Miyamoto è stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza. Ho già visionato i
filmati, ma non sono riuscito a carpire molti indizi. Forse il suo occhio
arguto potrà aiutarmi.”
Osiride si recò
verso una porta dorata con il cartello Riservato
al Personale bene in evidenza, la aprì con una chiave estratta dalla tasca
della giacca e accompagnò Tesla al suo interno. La stanza delle registrazioni
era piccola e colma di monitor, computer e apparecchi di registrazione. Un
armadietto dei server emetteva un suono ronzante in un angolo. Osiride si recò
a un terminale, digitò qualche comando sulla tastiera e un filmato venne
riprodotto sullo schermo.
“Questo è il
corridoio del dodicesimo piano dell’albergo. È la prima ripresa che abbiamo di
lui, ma i miei esperti sono riusciti a ricostruire l’intero percorso che ha
fatto.”
Sul monitor, un
giapponese di media altezza, con capelli lunghi e un viso piuttosto anonimo
uscì correndo dal bagno delle signore, lasciando dietro di sé una scia di
goccioline d’acqua. Indossava un kimono, anch’esso completamente zuppo, e
teneva stretto in una mano un lungo scopettone. Una signora di mezza età che si
apprestava a recarsi al bagno lanciò un urlo, e Miyamoto le diede lo scopettone
sulla testa urlando un KIAI che la
mandò lunga e distesa al suolo, dopodiché corse verso le scale di servizio.
Nelle riprese
successive si vide lo spadaccino saltare i gradini quattro a quattro, arrivare
fino al piano terra, stendere un membro del personale di sicurezza che gli
aveva urlato qualcosa con il secondo KIAI
di scopettone in pieno cranio e correre fino all’ingresso principale tra le
esclamazioni allarmate della folla di giocatori.
L’ultima ripresa
dove Miyamoto era inquadrato lo vedeva nel parcheggio del Luxor, con
un’espressione piuttosto inquieta, alzare l’arma improvvisata al cielo, per poi
venire inghiottito dalla folla di persone e dall’andirivieni di automobili di
lusso e taxi.
“Il video
termina qui – disse Osiride spegnendo lo schermo – non sappiamo che fine abbia
fatto da quel momento in poi, e la signora colpita appena fuori dal bagno e la
guardia di sicurezza sono ancora in ospedale con una commozione cerebrale.
“La folla ha
nascosto quello che ha fatto dopo, ma se non ci sono state altri feriti in zona
significa che o è fuggito a piedi, oppure…”
“Oppure, dottor
Tesla?”
“Mi faccia
rivedere l’ultima parte del filmato.”
Osiride riaccese
lo schermo, riavvolse il video e insieme visionarono con attenzione gli ultimi
secondi.
“Guardi con
attenzione il gesto che ha fatto. Ha alzato quella scopa verso il cielo.”
“Un gesto
vittorioso, forse? Dopotutto, era appena riuscito in una fuga impossibile.”
“Io non credo,
signor Osiride. Non era ancora completamente fuori tiro, e se le leggende su
Miyamoto sono tutte vere, non mi sembra il tipo da abbandonarsi a un’esultanza
quando non è ancora sicuro di avere la vittoria in pugno. Credo invece che
abbia chiamato un taxi. Anche se non capisco come uno spadaccino del
milleseicento possa avere anche solo una vaga idea di come funziona il mondo.”
“Non siamo dei
trogloditi, abbiamo la tv via cavo anche nell’oltretomba. Potrebbe anche essere,
dottor Tesla… ma anche se fosse, non avremmo modo di capire dove è andato.”
“Invece un modo
c’è, mio caro amico divino – rispose Tesla, sarcastico – Miyamoto era appena
fuggito dall’oltretomba. Non so che tipo di valuta si usi laggiù, ma
sicuramente non dollari americani, dico bene?”
“Scarabei
turchesi.”
“Perfetto –
Tesla fece un sorriso e si lisciò accuratamente i baffi – quindi dobbiamo
presuppore che Miyamoto, essendosi trovato nell’impossibilità di pagare, abbia
dato sfoggio delle sue capacità belliche dando una bella legnata anche al
tassista. Tutto ciò che dobbiamo fare è cercare una compagnia di taxi in cui un
dipendente abbia subito un’aggressione da un giapponese armato di scopa nei
giorni scorsi. Troviamo lui, e sapremo dove è andato Miyamoto.”
“La sua arguzia
mi sorprende sempre più, dottor Tesla. Fossimo ancora ai miei tempi, avrei
fatto mettere a morte dieci persone al giorno fino a che qualcuno non mi avesse
consegnato il fuggitivo.”
“Devo
ringraziare, allora, che i suoi tempi siano passati da un bel pezzo.”
Osiride si mise
al telefono e dopo una mezz’ora di chiamate ad agenti di polizia corrompibili,
pronto soccorso degli ospedali e amicizie varie, riuscì a scoprire che tale
T-Bone Walters, afroamericano al soldo della Sunvegas Taxi Company, era stato
ricoverato in ospedale per un’aggressione subita sul lavoro giusto qualche
notte prima. Il dio egiziano chiamò la compagnia di taxi per farsene mandare
uno, e dopo circa dieci minuti erano al Saint Nichols Hospital, dove
l’infortunato stava trascorrendo la sua degenza. Allungarono un paio di mazzette
agli infermieri per accedere alla corsia di notte, e Osiride diede una bella
mancia al convalescente T-Bone, che fu molto felice di rivelare l’indirizzo a
cui Miyamoto si era fatto trasportare, un quartiere piuttosto malfamato nella
zona sud di Las Vegas. Dopo pochi minuti, erano nuovamente in viaggio.
“Mi tolga una
curiosità, signor Osiride”, disse il dottore mentre si trovavano sul sedile
posteriore del veicolo.
“Chieda pure. Ma
non mi chiami signore, non è il caso, semplicemente Osiride.”
“Come gradisce. Per
quale motivo un giapponese del milleseicento, probabilmente di fede buddhista o
shintoista, si trovava nell’oltretomba egiziano?”
“Come le ho
detto, dottore, non ho mai capito come funzionano le cose. Dietro
l’amministrazione delle anime c’è tanta di quella burocrazia che non ho mai
avuto la tentazione di metterci becco. Quello che posso dirle è che non accade
praticamente mai che le anime giungano nell’aldilà predicato dalla propria
fede. Ho visto una gran quantità di cristiani giungere ai campi elisi, nativi
americani vagare nelle terre di latte e miele predicate da Maometto, e seguaci
degli spiriti della foresta africani marcire all’inferno. Perché funzioni così?
Non lo so, ma quello a cui credo fermamente è che chi ha deciso come debba
essere svolto il nostro lavoro sia un gran burlone. Ha idea di quanto sia
divertente gustarsi l’espressione di un fervente cattolico, che per tutta la
vita ha atteso di essere condotto davanti al cancello di San Pietro, venire
portato via dalle Valchirie? Anche io fatico a rimanere serio quando mi arriva
l’anima di un mormone. La sua espressione di stupore quando vede piuma,
bilancia dorata e varie divinità coperte d’oro sedute sui troni è semplicemente
esilarante.”
“Chi ha deciso come funziona il vostro
lavoro?”
“Questo è un
mistero di cui non ho la risposta, dottore.”
Il tassista, nel
frattempo, stava lanciando occhiate ai due passeggeri. Mancò poco che centrasse
in pieno una berlina di lusso che stava sfrecciando nella corsia opposta, tra
le luminose insegne al neon della Las Vegas notturna.
“Pensi a
guidare, lei”, lo apostrofò Osiride.
Il quartiere
dove il tassista li condusse era il paradiso dei centri massaggi. Cinesi,
giapponesi, indonesiani, thailandesi, vietnamiti e tutte le etnie dell’estremo
oriente avevano una loro rappresentanza locale, e le signorine coperte da
tessuto insufficiente a fabbricare un coprilampada erano onnipresenti, per la
maggior parte affacciate alle finestre superiori degli edifici.
Alcune si
urlavano frasi nelle loro lingue da un lato all’altro della strada,
accompagnate da lanci di uova di anatra fecondate, gamberi di fiume e pesci
surgelati.
“Fortunatamente,
non ci sono ristoranti in vista”, osservò Osiride.
“Cosa pensa che
sia venuto a fare qui Miyamoto?”
Osiride sorrise.
“Si trovava nell’oltretomba da oltre tre secoli, ridotto ad una forma spettrale
impossibilitata a provare qualsiasi sensazione fisica. Il motivo per cui è
corso qui immediatamente dopo la fuga, dottore, mi è molto chiaro.”
“Stiamo parlando
dello stesso Musashi Miyamoto, vero? Le leggende dicono che non si sia nemmeno
mai fatto un bagno, per non rimanere disarmato per pochi minuti. Stiamo
parlando dello stesso Miyamoto che non temeva la morte, e che aveva dedicato la
sua intera esistenza alla via della spada?”
“Proprio lui. Ma
sono sicuro che dopo trecento anni di talk show e soap opera scadenti alla
televisione, abbia riveduto almeno in parte la sua filosofia.”
Scesero dal taxi
e Osiride si occupò di saldare il conto. Dopo aver preso i soldi senza neanche
contarli, il tassista se ne andò sgommando e scuotendo la testa come un
ossesso.
Il dio egiziano
si recò con aria risoluta verso uno dei tanti centri massaggi. Sull’insegna
sopra la porta d’ingresso, spiccavano disegni di gatti dorati e bandiere del
sol levante. Per poco, Tesla non venne colpito in piena faccia da un
salmone/futuro sushi lanciato da una delle ragazze con una mira poco
invidiabile.
Varcarono la
porta, Osiride con un’espressione affabile dipinta sul volto, Tesla piuttosto
imbarazzato.
“Qualcosa non
va, dottore?”
“Non sono mai
stato grandemente interessato a posti come questo, l’argomento mi crea più
disagio che altro.”
“Non ci
rimarremo molto, stia sereno. Giusto il tempo di chiedere qualche
informazione.”
Una matrona
estremamente truccata con indosso un kimono rosso e dozzine di bastoncini
dorati tra i capelli venne loro incontro. Osservò la valigia da cui il dottor
Tesla non si era ancora separato, poi si rivolse a loro in un inglese stentato.
“Buonasera
onorevoli ospiti. Io avvisa che se voi fare giochetti strani mie ragazze no
problema, ma extra da pagare.”
“Gentile
signora, non siamo qui per vedere le sue ragazze, per quanto la cosa mi farebbe
piacere. Siamo qui perché stiamo cercando una persona.”
“Qui nessuno.
Voi no creare problemi. Voi polizia?”
Osiride non
rispose, ma le lanciò un’espressione che lasciava intendere che probabilmente era così.
“Cerchiamo un
uomo che sono piuttosto certo sia passato di qui qualche notte fa. Un
giapponese dall’espressione truce, capelli lunghi. Aveva sicuramente con sé uno
scopettone. Se fosse in grado di aiutarci, leveremmo subito il disturbo.”
“Uomo con scopa,
io detto che qui scopare ma non in quel senso, lui no capito molto. Io pensato
che forse scopa era per giochetti strani. Lui stato con una ragazza, poi due,
poi tre. Poi scoperto che no aveva soldi per pagare, così lui proposto lavare
piatti e rassettare stanze. Fosse stato bianco o nero o rosso io avrei detto
no, tu paga o chiama Bussho, lottatore di sumo, a rompere ossa. Ma lui
giapponese, lui detto cercare aiuto, allora io accettato anche perché a Bussho
simpatico. Noi dato stanzetta di sopra, lui persona molto tranquilla, ma ogni
tanto urla forte. Lui forse fa cose strane con scopa, non sa bene.”
“Aspetti, mi sta
dicendo che si trova ancora qui?”
“Sì, lui fatto
lavori stasera e poi andato a dormire.”
“Signora, deve
sapere che l’uomo che sta ospitando è molto pericoloso. Si tratta di… sì, di un
ricercato, ed è nostro compito consegnarlo alla giustizia. Sono certo che se ci
garantisse l’accesso alla sua stanza, voi e il vostro centro massaggi non
incorrerete in alcun rischio penale. La complicità è un’accusa molto grave. O
forse dovrei far controllare i passaporti a lei e a tutte le sue ragazze?”
La donna alzò le
mani in segno di resa. “Io no vuole problemi, io no vuole problemi! Voi andare
pure, lui di sopra a terzo piano, io da voi chiave di riserva.”
Così fece. Dopo
aver consegnato la chiave della stanza ad Osiride, li condusse alle scale
interne dell’edificio e si affrettò a sparire tra i corridoi, come un fantasma
della cinematografia nipponica.
“Bene dottor
Tesla, siamo alla resa dei conti. Arrivare fin qui è stato più facile di quanto
credessi, ma i veri problemi arriveranno ora. Siete pronto?”
Per tutta
risposa, il dottore appoggiò la valigia per terra e la aprì lentamente. Al suo
interno si trovava un grosso apparecchio elettrico, simile a uno zaino
metallico dotato di due grosse bobine collegate tramite un robusto cavo a un
arnese simile a un guanto di cuoio e rame. Tesla si assicurò le bobine alla
schiena con una serie di cinghie, infilò il guanto alla mano destra e girò una
manopola situata sul palmo. Dopo pochi istanti si sentì un crepitio e le bobine
iniziarono a generare dei lampi elettrici dall’aspetto piuttosto pericoloso. Ad
entrambi si rizzarono i capelli in testa, l’aria iniziò a odorare di ozono, ma
a parte ciò non ci furono altre conseguenze negative.
Il guanto di
rame mandò qualche breve scarica elettrica.
“Sono pronto.”
Salirono le
scale incontrando un paio di ragazze che dovevano sicuramente essere esperte massaggiatrici sportive, e arrivarono di
fronte alla porta dell’interno 3. Osiride estrasse da sotto la giacca un
bellissimo esemplare di kopesh egiziano, con la lama in bronzo e l’elsa ornata
di rubini e altre pietre preziose. Come avesse fatto a nasconderlo sotto gli
abiti senza che ne risaltasse almeno la sagoma, era un mistero che il dottor
Tesla non avrebbe mai risolto.
Osiride allungò
la mano libera verso la maniglia, ma le sue dita afferrarono solo l’aria. Un
giapponese, non zuppo d’acqua come nei video che avevano visionato, ma
sicuramente ugualmente arrabbiato, aveva aperto la porta proprio in
quell’istante. I due fecero appena in tempo a vedere che nella mano destra non
stringeva affatto uno scopettone, ma una katana di fattura eccezionale.
Con un KIAI degno dell’urlo di Chen, Musashi
Miyamoto alzò la spada e la calò su Osiride con la rapidità di un fulmine, che
non poté fare altro che subire impassibile il fendente. Il dio egiziano venne
colpito alla spalla sinistra, la lama affondò nella carne e scivolò verso il
braccio recidendoglielo di netto. L’arto mozzato cadde a terra con un sonoro spaf!
Il volto di
Osiride assunse un’espressione allarmata, ma non ci fu traccia del puro orrore
che ci si sarebbe aspettati da una persona a cui è appena stato strappato un
braccio. Tentò di contrattaccare con il kopesh, ma Miyamoto parò i colpi con
una naturalezza, come se non avesse mai fatto altro dalla culla (un fatto non
del tutto immaginario) e indietreggiò.
Il dottor Tesla
alzò la mano coperta dal guanto verso il suo avversario, ma la colluttazione in
atto con il dio egiziano gli impedì di prendere la mira, così decise di
attendere ancora per qualche istante.
Osiride riuscì a
colpire di striscio Miyamoto al ventre, ma capì subito che non si trattava di
una ferita di gran conto. Nel frattempo, il leggendario spadaccino ebbe il
tempo di incalzare il suo avversario di colpi, l’ultimo dei quali lo centrò
alla base del collo, tagliandogli di netto la testa.
Il dottor Tesla
comprese in quell’istante che non ci sarebbe stato un secondo momento per
colpire. Le particelle d’ossigeno nell’aria si fermarono per un breve istante,
poi una scarica di elettricità di un bianco purissimo colpì in pieno il ronin
fuggitivo. I vestiti bruciarono, il suo petto prese fuoco, e vomitò delle
scintille bluastre dalla bocca e dagli occhi. Fu solo un breve istante di
dolore, poi il suo corpo privo di vita cadde per terra, a fianco di quello di
Osiride.
Nikola Tesla si
avvicinò con circospezione, osservando con orrore come era ridotto il povero
Osiride. Era davvero possibile uccidere un dio? Se la risposta era sì, Musashi
Miyamoto ne era stato in grado.
Poi accadde
qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Il corpo del ronin, che ancora stava
emettendo scintille e fumo, balzò in piedi. Tesla non capì cosa stesse
succedendo fino a che la katana di Miyamoto non gli trapassò lo sterno. Il
dottore cercò appoggio sulla parete, ma le gambe non gli ressero e scivolò
lentamente a terra. Il suo avversario, ridotto a una sorta di fantasma
affumicato, prese la porta e sparì.
Il dottor Tesla
scivolò nell’incoscienza per qualche istante, poi riprese i sensi. Era già
passato per una situazione del genere, anche se le ferite che aveva subito in
passato non erano sicuramente così gravi. Sperò che anche questa volta la sua
speciale batteria risolvesse la
situazione.
Le sue
aspettative non furono tradite. Con un crepitio elettrico, la ferita iniziò
lentamente a rinsaldarsi. Dopo pochi minuti riuscì di nuovo a respirare
normalmente, e lentamente si rialzò.
Era stata una
delle sue ultime invenzioni prima di “morire” ufficialmente, ma una volta
resosi conto delle capacità di quell’apparecchio aveva deciso di non rivelarle
a nessuno e tenersi per sé il progetto, almeno fino a quando l’umanità non
fosse stata pronta. Tesla era arrivato alla conclusione che tutto,
nell’universo, è governato dall’energia elettrica, anche se a livello
infinitesimale. La sua batteria, innestata
nei pressi del cervelletto (operazione che aveva fatto compiere a un chirurgo
di fiducia) inviava impulsi elettrici localizzati, che permettevano di
rigenerare completamente il corpo e rallentare enormemente i processi di
invecchiamento, donando a tutti gli effetti l’immortalità. La batteria veniva ricaricata dall’energia
cinetica prodotta dal corpo in movimento, quindi sarebbe durata in eterno. Tesla
aveva considerato che l’unico modo per ucciderlo definitivamente, classico dei
classici, sarebbe stato tagliargli la testa. In quel caso, l’energia accumulata
nella batteria sarebbe stata probabilmente insufficiente per ricostruire il
resto del corpo, anche se era un esperimento che non aveva nessuna intenzione
di compiere.
Cercò di
togliersi il sangue dalla camicia, ma l’unico risultato che ottenne fu quello
di sporcarsi le mani, e si guardò intorno indeciso sul da farsi.
“Ci è sfuggito,
vero?”, disse una voce con un familiare accento egiziano. Il dottor Tesla
guardò stupefatto verso il cadavere decapitato di Osiride, e si accorse che la
testa lo stava fissando.
“Prego?”
“Ho chiesto se
ci sia sfuggito – disse la testa – ma date le sue condizioni, dottore, la
risposta mi sembra palese.”
“Signor Osiride,
me lo lasci dire: mi ha definitivamente convinto. Non ho più motivo di dubitare
delle storie che mi ha raccontato, per quanto assurde possano sembrare.”
“Sono molto
contento, dottore, ma credo che dovremo rimandare a dopo i festeggiamenti.
Dobbiamo prendere Miyamoto prima che ci sfugga definitivamente. Mi dia una mano
a rimettermi in sesto.”
Il dottor Tesla
fissò la testa un po’ frastornato. “Come dovrei aiutarla, esattamente?”
“Trovi ago e
filo, e veda di ricucire i pezzi al posto giusto. Non si preoccupi, mi è già
successo una volta. Ci aveva pensato Iside, la mia ex-moglie, ma non ho la
minima intenzione di chiamare quell’ingrata per farmi vedere così umiliato.
Sono sei millenni che le pago gli alimenti, ma quella è una vera e propria
voragine senza fondo. Dovremo ricorrere alle sua capacità. Si sbrighi, per
favore.”
Il dottor Tesla
cercò nel bagno del piccolo monolocale, e trovò una cassetta del pronto
soccorso con l’occorrente necessario. Anche se disgustato dal compito, si mise
diligentemente all’opera.
“Miyamoto ci
stava aspettando – disse Osiride, mentre il dottor Tesla si occupava di
ricucire il braccio – sapeva che stavamo andando a prenderlo. La vera domanda
è: chi l’ha avvisato? La matrona del centro massaggi?”
“Non credo, la
minaccia di controllarle il passaporto è stata più che sufficiente. Ma allora
chi è stato?”
“Sono stato io”,
disse una voce maschile dal pesante accento giapponese.
L’uomo più
grosso – anzi, più grasso – che i due
avessero mai visto fece il suo ingresso nella stanza, passando a malapena dalla
porta. Era completamente calvo, portava ai lobi delle orecchie due grossi
orecchini d’oro e indossava una camicia hawaiana, anche se sarebbe stato più
giusto dire che indossava una tenda di pessimo gusto. L’espressione sorridente
sul suo volto era talmente fuori luogo da essere disarmante.
“Mi faccia
indovinare, lei è Bussho, il lottatore di sumo”, disse Tesla.
“Non esattamente
– disse Osiride prima che il giapponese grasso potesse prendere parola –
Buddha, è una vita che non ci vediamo. Speravo che fosse in circostanze
migliori.”
Se possibile, il
sorriso del giapponese si fece ancora più largo.
“Già, una
circostanza piuttosto spiacevole, devo dire. Spero vogliate perdonarmi per
questo piccolo inconveniente, ma non potevo permettere che Musashi venisse
catturato. Certo, avrei preferito che non avesse agito in maniera così
violenta, ma è quella la sua natura.”
“Come mai ti
interessa tanto la sorte di Miyamoto? È fuggito dall’oltretomba, si tratta di
una violazione parecchio grave nell’ordine cosmico dell’universo… credevo che a
te queste cose importassero.”
Il dottor Tesla
completò l’opera di sutura sul corpo di Osiride, che mosse la mano
sgranchendosi i muscoli. Non c’era più alcuna traccia delle ferite subite.
“La sua anima
era destinata a me. A ricongiungersi con me, divenire parte del tuttuno. Questa
burocrazia divina riesce a mandare in crisi la mia proverbiale calma, te ne
rendi conto? Appena ho saputo della sua fuga ho deciso che sarebbe stato giusto
concedergli una possibilità. Non posso interferire ulteriormente, anche perché
credo proprio che in questo momento stia per sfuggirvi definitivamente.”
“Gli hai parlato
dei poteri della cucina cinese”, disse Osiride, cupo.
“È così, ma non
ha ancora compiuto questo passo. Egli è giapponese, devoto all’onore e alla
guerra, non può mangiare del cibo cinese senza che quest’onta macchi per sempre
la sua esistenza. Ha trascorso i giorni dalla sua fuga qui, a lavorare e
meditare, cercando di comprendere cosa fosse giusto fare: ritornare
prigioniero, ma con l’onore intatto, oppure trovare la libertà pagando un
prezzo molto, molto alto. Ma credo che il vostro attacco l’abbia portato a
compiere la scelta definitiva.”
Nel frattempo,
Tesla stava esaminando con attenzione la stanza. Era arredata in maniera
semplice e spartana. A terra c’era un futon, lo scopettone di proprietà del
casinò Luxor faceva bella mostra di sé in un angolo, con il manico ancora macchiato
di sangue rappreso, e su un piccolo tavolino c’erano fogli vergati da caratteri
giapponesi. Tra questi, notò un piccolo biglietto da visita nero, su cui era
disegnata una tigre e faceva bella mostra di sé la scritta Green Chair Dragon.
“Osiride,
eravamo in questo posto poche ore fa.”
“Ho avuto modo
di assaggiare i loro ravioli, la magia nera scorre potente in quella cucina”,
affermò l’egiziano.
Il Buddha annuì
impercettibilmente. “Ciò che accadrà ora, è solo il destino a volerlo. Miyamoto
dovrà compiere la sua scelta, ma sarò in pace con me stesso sapendo di avergli
concesso una possibilità.”
“Sì, va bene,
ora basta con tutte queste cazzate sull’equilibrio cosmico, le cose andavano
molto meglio prima che ti trasformassi in un culto new age. Dottor Tesla,
muoviamoci, forse lo possiamo ancora intercettare. Buddha, sappi che se ci
rivedremo, sarò lieto di farti assaggiare i miei compassionevoli pugni.”
I due corsero
via, appiattendosi contro le pareti dell’angusta stanzetta quando passarono di
fianco al Buddha. Il suo sorriso si allargò ancora di più, tanto che a un uomo
comune sarebbe sicuramente esplosa la faccia.
I viaggi in taxi
facevano parte del loro destino. Osiride sganciò duecento dollari al tassista,
e gli disse che ce ne sarebbero stati altri duecento se li avesse condotti al
Green Chair Dragon in meno di dieci minuti. Il tassista promise che ce ne
avrebbe messi otto.
“Non sono
convinto che sia una buona idea, Osiride”, disse il dottor Tesla.
“Per quale
motivo? Dobbiamo intercettarlo prima che tocchi quel cibo.”
“Ha già
dimostrato la sua superiorità nell’arte bellica. È vero, siamo stati presi alla
sprovvista, ma Buddha potrebbe averlo avvisato di nuovo. Credo che sia il caso
di giocare d’astuzia, invece.”
“Ha in mente
qualcosa?”
Nikola Tesla gli
disse cosa aveva in mente. Osiride disse al tassista di fare una deviazione.
Arrivarono al
Green Chair Dragon un’ora dopo, con il cuore in gola, speranzosi che Miyamoto
non avesse ancora compiuto il gesto definitivo. Tesla aveva ritirato il Raggio
della Morte nella valigia, e Osiride teneva un sacchetto di carta tra le mani.
“Ci ha messo
molto, quel tuo dipendente”, disse il dottore.
“È un’artista,
non si deve mettere fretta all’arte.”
“Peccato che il
nostro bersaglio non badi a certe cose. Potrebbe avere già mangiato.”
Entrarono di
tutta fretta, il locale era in chiusura e un ragazzino cinese stava ripulendo
il pavimento dalla porcheria gettata dai clienti. Miyamoto era seduto allo
stesso tavolo che Osiride e Tesla avevano occupato poche ore prima. Sul suo
corpo non c’era più traccia delle bruciature causate dal Raggio della Morte, e
davanti a sé aveva una ciotola di salsa di soia e un involtino primavera,
fortunatamente intatto. Quando li vide, si irrigidì e portò la mano sotto il
tavolo, dove probabilmente nascondeva la spada.
“Signor
Miyamoto, siamo disarmati – disse Osiride – vogliamo solamente parlare a tu per
tu.”
Il ronin li
scrutò con attenzione, assottigliando ancora di più gli occhi. Tesla appoggiò
la valigia a terra e alzò le mani cautamente. Stessa cosa fece Osiride, tenendo
però il sacchetto di carta spiegazzato ben stretto.
Il giapponese
fece cenno ai due di avvicinarsi, che lentamente si diressero al tavolo.
Il ragazzino
cinese che stava pulendo il pavimento disse semplicemente “cucina chiusa, no
serve”, poi tornò ai suoi compiti.
“Ha già
mangiato?”, chiese Osiride.
“Non ancora –
disse Miyamoto – sento lo sguardo di rimprovero dei miei antenati su di me. Non
avrebbero voluto che arrivassi a questo, ma è un passo necessario che devo
compiere. Giungere alla comprensione del Vuoto, il quinto anello, è stato molto
più semplice che intingere questo involtino fritto nella salsa. Ma ora non ho
più tempo. Vivrò per sempre con l’onta, ma sarò libero dalla morte. Quando
scrissi il libro dei cinque anelli per il mio allievo, non sapevo che la morte
sarebbe stata così maledettamente noiosa.”
Osiride allungò
la mano dentro il sacchetto di carta, e Miyamoto si irrigidì improvvisamente.
Nessuno dei due seppe dire come la spada venne estratta da sotto il tavolo, ma
in un battito di ciglia si trovava davanti a loro.
“Non temo la sua
spada, signor Miyamoto – disse Osiride sudando freddo – certo, non posso negare
che essere fatto a pezzi sia una noiosa seccatura e che sia dannatamente
doloroso, ma per me non è niente di definitivo. Ad ogni modo, qui dentro non
c’è un’arma. Mi permetta di mostrarle il contenuto, e forse riuscirò a farla
ragionare.”
Il ronin non
disse nulla, e Osiride interpretò la cosa come un assenso. Il dio tirò fuori
dal sacchetto un contenitore trasparente, al cui interno c’erano una ventina di
pezzi di sushi.
Fettine di
salmone, polipo, tonno e spigola facevano bella mostra di sé su piccole
polpette di riso bianco. Il tutto era accompagnato da una pallina di wasabi e fettine
di zenzero in agrodolce, servito su un letto di foglie di insalata. Era un
piccolo capolavoro culinario confezionato dallo chef del casinò Luxor.
“Vuole davvero
tradire la sua cultura, il suo paese, i suoi antenati, il suo mercato ittico?”,
chiese Tesla.
“La libertà ha
davvero un prezzo così alto? La comprensione della strategia del guerriero,
dell’onore, dei cinque anelli, vale davvero un semplice involtino primavera?”,
chiese Osiride.
“Lo mangi, e non
sarà mai più lo stesso. La sua leggenda sarà finita, e sicuramente avrà dei noiosi
problemi intestinali l’indomani mattina.”
Miyamoto,
tremando visibilmente, osservò il sushi e l’involtino primavera. La difficile
scelta lo stava minando dall’interno. Passarono venti secondi interminabili per
tutti quanti, consumati dalla tensione di quello che sarebbe sfociare in un
combattimento all’ultimo sangue.
Poi il ronin
lanciò un urlo, scagliò a terra il piatto con l’involtino primavera e,
afferrate le bacchette, si dedicò al sushi. Ne mangiò alcuni bocconi con una
calma invidiabile, degustando il pesce crudo, e aggiungendo piccoli tocchi di
wasabi per far raggiungere al piatto un sapore unico.
Il ragazzino che
stava pulendo il locale si avvicinò con un’espressione irritata, osservò
l’involtino primavera sul pavimento e fece per dire qualcosa, ma Miyamoto
afferrò la spada e si avventò su di lui con un KIAI. Solo la prontezza di Osiride evitò che il pavimento venisse
macchiato da qualcosa di ben più rosso che la salsa di soia.
Dopo l’onorevole
pasto, Miyamoto depose la spada e accettò di farsi riportare nell’oltretomba,
prigioniero sì, ma con l’onore intatto. I suoi antenati erano sicuramente fieri
di lui.
Osiride chiamò
un taxi, e approfittò dell’attesa per scambiare due parole con Tesla.
“Dottore, è
stato un vero piacere lavorare con lei. Me lo lasci dire, la sua mente è
un’arma ben più pericolosa dei suoi raggi elettrici. È benvenuto al Luxor, se
gradisce fermarsi per un po’ a Las Vegas. Sono sicuro che la città dalle mille
luci verrà grandemente apprezzata da un uomo come lei.”
“Osiride, questa
storia ha minato profondamente la mia percezione della realtà. Fino a ieri
avrei considerato alla meglio un pazzo furioso chiunque mi avesse detto che le
divinità esistevano veramente. Dovrò ricominciare i miei studi, consapevole che
forse un po’ di magia esiste, in questo mondo…”
“La chiami
magia, la chiami scienza, ma è quello che è, e nient’altro. Sono semplicemente
modi diversi di vedere le cose.”
Tesla si lasciò
andare a un sorriso cortese. “Avrei un favore da chiederle.”
“Qualsiasi cosa,
mio buon dottore.”
“Visto che non
credo che ne avrò mai più la possibilità, mi chiedo se sia possibile visitare
l’oltretomba. Sarebbe sicuramente una gita interessante.”
“Meno di quanto
si creda, dottore. Meno di quanto si creda. Ma accolgo di buon grado la sua
richiesta.”
Il taxi arrivò,
e il dio, lo spadaccino e lo scienziato salirono sopra, diretti al casinò Luxor
e alla porta verso il Duat.
Dalla soglia del
Green Chair Dragon, un frastornato e
impaurito ragazzino cinese li guardò allontanarsi, tenendo stretto in pugno un
oleoso e ormai gelido involtino primavera.