martedì 3 aprile 2012

Per Mary



Detroit, Anno 2097, Uno
“Ti ho… ti ho già detto… non so di cosa stai parlando…”, rantolò Bill Mulliflex mentre la sua gola veniva serrata da una presa forte come l’acciaio. Bill era un uomo dall’aspetto comune, un metro e ottanta scarso, capelli castani sfumati da qualche punta di grigio, occhi a mandorla ereditati da qualche avo asiatico e fisico da quarantenne dedito all’uso di quella schifezza sintetica che nel duemilanovantasette spacciavano come duro e puro bourbon del Kentucky. In volto aveva qualche cicatrice, sottili strisce bianche che gli solcavano la pelle divenuta prematuramente rugosa, causate più probabilmente da unghie affilate che dalla lama di un coltello. Incontrato per la strada, con indosso la sua divisa nera da operaio corporativo della Microsystem Brocken Enterprise, il palmare collegato allo spinotto AKV impiantato dietro l’orecchio destro e la pistola automatica sotto la fondina ascellare avrebbe potuto anche sembrare un individuo minaccioso, ma in quel momento, con una mano guantata di PVC nero potenziata da impianti sottocutanei e un’altra del tutto simile a stringergli le palle tenendolo sollevato a mezzo metro da terra, aveva lo stesso aspetto minaccioso di una merda di cane.
“Tu dici un sacco di stronzate, Mulliflex. O forse dovrei chiamarti Fratello Superiore Mullin? Forse questo nome servirà a rinfrescarti la memoria”, disse l’altro uomo con voce gelida.
Bill venne scagliato dall’altra parte del piccolo monolocale ingombro di lattine di birra vuote e andò a schiantarsi contro il televisore a 52 pollici che la MBE gli aveva donato come gratifica per i risultati conseguiti solo tre mesi prima. Il vetro a cristalli liquidi andò in frantumi assumendo un colorito cangiante ed emettendo qualche scintilla.
L’altro uomo, anch’esso di corporatura media e vestito con una tuta antiproiettile integrale di un colore nero lucente si avvicinò a Bill, che si contorceva sulla moquette in preda ai dolori.
“Urla pure – disse abbassandosi verso di lui – gli appartamenti di questo condominio sono tutti insonorizzati.”
Bill riuscì a girarsi verso il suo assalitore e, sebbene avesse la vista annebbiata, riuscì a guardarlo in volto. Portava un visore notturno del tutto simile ad un paio di vecchi occhiali da sole di inizio secolo su di un viso tondo e regolare, con capelli neri tagliati corti e un pizzetto lungo solo pochi millimetri. Il volto, così perfetto da poter essere stato ottenuto solo grazie a diversi interventi chirurgici, non aveva alcuna espressione in particolare. Bill sapeva che molti sicari a pagamento si facevano cambiare abitudinariamente i connotati, oltre che le retine, per non essere individuati dalle autorità. Quest’uomo ne aveva tutta l’aria.
Il sicario afferrò Bill per il braccio destro e lo strinse lentamente. Con un ronzio i suoi impianti sottocutanei si attivarono e a Bill sembrò di avere il braccio stretto in una morsa d’acciaio, pronta a spezzarglielo al minimo movimento falso.
“Cosa vuoi da me?”, chiese al sicario.
“Che mi racconti una storia. Non chiedo molto, non ti pare? Voglio che mi racconti di Mary Grabowski, una povera e sfortunata ragazza che hai conosciuto giusto un paio di anni fa. Era bisognosa d’aiuto, tu ti sei offerto di darglielo e lei ci ha creduto davvero… Sei stato un verme ad approfittarti di lei e sei stato ancora più schifoso quando c’è stato quel processo. Tutti i seguaci della setta sono finiti in galera, dove le attività più sacre che svolgeranno per i prossimi quindici anni saranno servizietti a delle guardie carcerarie arrapate. Tutti tranne te, il Fratello Superiore, il guru illuminato della Luddism Nirvana. Ti sembra giusto?”
“Ti ho già detto che non mi ricordo di nessuna Mary Grabowski. Hai sbagliato persona, non so niente di nessuna setta!”
Con uno scatto fulmineo il sicario afferrò le falangi della mano destra di Bill e le piegò fino a che non emisero un sonoro schiocco. Bill urlò di dolore, ma l’uomo gli premette il palmo sulla bocca.
“Ti conviene schiarirti la memoria. Alla prossima bugia ti strappo tutta la mano.”
“Me ne compro una nuova, bastardo!”, sbraitò Bill dopo che il sicario gli tolse la mano dal volto.
“Già, come no. Sei così pieno di soldi da poterti permettere tutto un corpo nuovo, di vera carne, è per questo che vivi in questa merda di monolocale.”
Bill si guardò intorno, come se si fosse reso conto solo in quel momento dello schifo di posto in cui viveva e tacque.
“Di Mary ce ne sono state tante…”, iniziò, ma il sicario lo interruppe.
“A me ne interessa una in particolare, te la ricorderai sicuramente. Capelli rossi e giallo fluorescente, un bel fisico, viveva giù alla periferia sud. Spinotti AKV dietro entrambe le orecchie, ma non quella roba di lusso che hai addosso tu, il vecchio modello. Mary era povera e quei pochi soldi che guadagnava se li spendeva per farsi di Cybermeth 1.7. È proprio per quel motivo che è venuta da te per la prima volta. Non riusciva più a vivere, voleva che la facessi smettere con quella merda che le aveva quasi fritto i neuroni. E tu la accolsi a braccia aperte…”
Bill non seppe dire se furono le parole del sicario o il dolore a farlo ricordare, ma improvvisamente si ricordò di Mary. Non riuscì a visualizzare il suo viso, ma ricordò molto bene l’entrata nella setta della ragazza.
“Cosa vuoi sapere?”, chiese al sicario mentre si osservava le dita rotte.
“Voglio che mi racconti per filo e per segno ciò che ha fatto nella setta. Che cosa le avete fatto tu e quei mangiamerda dei tuoi fratelli. Voglio che mi racconti la verità, tutta quanta, senza omettere nulla. Il tuo corpo ha tante cose che posso strappare per farti parlare.”
“Va bene… come ti devo chiamare?”, gli chiese Bill. Era la paura a farlo straparlare, altrimenti quella domanda non si sarebbe spiegata.
“Puoi chiamarmi Mordred. Avanti Bill, comincia a cantare.”

Il Racconto di Bill Mulliflex, Anno 2095
La sede della Luddism Nirvana era situata in un monastero eretto nel 1901 nei pressi dell’allora centro di Detroit. Era un grande edificio di mattoni di tre piani, dotato di un tetto spiovente e un ampio giardino nel chiostro interno.
La setta, formatasi solamente tre anni prima, si era insediata nell’edificio da poco tempo, in seguito ad una grande donazione in denaro ottenuta tramite una maratona televisiva. Il Fratello Superiore Mullin, fondatore della setta, aveva colpito l’attenzione dei media e nel giro di pochi anni aveva raggiunto il successo, venendo reputato un uomo carismatico e convincente. Il dogma della Luddism Nirvana predicava l’astensione dall’utilizzo di qualsiasi tecnologia prodotta dopo il 2027, anno dello scoppio della terza guerra mondiale per il controllo degli ultimi giacimenti di petrolio, dopo il quale furono le banche e le grandi multinazionali a dirigere apertamente l’orchestra. Le nuove meraviglie hi-tech prodotte dopo quel periodo, come la NGNW (New Global Neural Web) e gli impianti cibernetici costituivano un pericolo per la salvezza dell’intelletto e dell’animo umano. Sebbene il Fratello Superiore Mullin avesse attirato l’ira di molte grandi imprese con le sue evangelizzazioni televisive, si vociferava avesse un santo protettore in qualche piano alto di una multinazionale, ragion per cui la Luddism Nirvana non aveva ancora subito sabotaggi di rilievo.
Il Fratello Superiore Mullin, il cui vero nome era Bill Mulliflex, si trovava nel suo ufficio al terzo piano dell’edificio, una stanza arredata secondo gli standard della moda del secondo decennio del ventunesimo secolo. Portava indosso solo una semplice tunica di lino bianco, immacolata come la purificazione tecnologica che egli aveva raggiunto. Sulla sua scrivania in mogano, oltre che alcune vecchie fotografie d’epoca, era posizionato un computer portatile del 2026 perfettamente funzionante, un vero pezzo d’antiquariato.
Bill stava esaminando alcuni grafici sull’andamento economico della setta dell’ultimo trimestre quando qualcuno bussò alla porta.
“Chi è? Avanti”, disse pacatamente.
Un uomo vestito con una tunica del tutto simile, ma di un grigio ceruleo, si fece avanti. Sopra la tunica portava solamente una cintura con la fondina di un vecchio revolver.
“Una nuova adepta, fratello. Ha espresso il desiderio di entrare nella setta.”
“Spero per te che questa pivella costituisca un valido motivo per disturbarmi, Seymour. Come si chiama?”
“Mary Grabowski, fratello. La faccio accomodare?”
“Sì, sì, falla entrare – rispose Bill chiudendo il portatile – ma rimani fuori dalla porta.”
Seymour uscì e dalla porta fece capolino il viso di Mary. Era una ragazza di media altezza, con capelli tenuti legati in diverse trecce di colore rosso fuoco e giallo fluorescente. Tra i capelli, come ornamento, portava diversi tubi colorati in plastica, che si mischiavano alle trecce dando l’impressione che la sua cute fosse molto più folta di quello che in realtà era. Aveva vestiti aderenti color blu elettrico, una nanotuta integrale in fibra di carbonio che rallentava l’invecchiamento della pelle e metteva in mostra le forme minute ma provocanti del suo corpo.
Non appena la vide, Bill le sorrise con dolcezza.
“Fatti avanti, Mary. Non essere intimorita.”
Lei si fece avanti mantenendo lo sguardo basso. Aveva un’espressione triste e stanca, sebbene gli occhi si muovessero come impazziti nelle orbite, segno di una qualche alterazione neurale.
Bill si alzò e le andò incontro, stringendole la mano guantata.
“Piacere di conoscerti, sono il Fratello Superiore Mullin. Accomodati, non farti pregare. Desideri qualcosa da bere?”
Mullin la accompagnò fino ad una comoda poltrona posizionata davanti alla scrivania tenendole una mano sulla schiena.
“Si, grazie”, disse lei quasi sussurrando.
“Vuoi del caffè, del tè? Ho un ottimo whiskey del 2018, è delizioso. Ne gradisci?”
“Sì, signor Mullin. Cioè, no, anche del caffè andrà benissimo, grazie.”
“Non chiamarmi signor Mullin, chiamami semplicemente fratello. Sei venuta qui per chiedere il mio aiuto, ma non sentirti obbligata a trattarmi come se fossi il tuo capo. Parla pure liberamente.”
Mary annuì e attese che Bill le servisse il caffè. L’uomo preparò tutto con una macchinetta d’epoca, utilizzando una mistura di caffè che non contenesse chicchi sintetici. Servì la tazza alla ragazza, che la strinse con entrambe le mani e ne bevve avidamente un sorso, poi andò a sedersi alla sua poltrona dall’altro lato della scrivania.
“So che hai espresso il desiderio di entrare nella setta, Mary, e non posso che esserne felice. Ma io devo sapere se c’è qualcosa che ti turba, qual è il desiderio che ti spinge ad abbandonare questo mondo. Parlami francamente, non ho intenzione di giudicarti, ma solamente di porgerti una mano amichevole”, disse Bill con voce melliflua.
Mary alzò lo sguardo, lo osservò dritto negli occhi e Bill poté osservare meglio i suoi: un verde così brillante che poteva essere stato ottenuto solo con la chirurgia oculare, e talmente nervosi che la ragazza sembrava essere impazzita.
“Sono una drogata”, disse lei con un tono di voce duro.
“Mi dispiace, Mary. Sono molti i giovani che al giorno d’oggi hanno problemi con la droga. Là fuori il mondo è impazzito e sono tanti quelli che, non avendo il coraggio di fare nulla per cambiare, si perdono d’animo. Ma tu, Mary, hai fatto il primo passo venendo qui e so che è stato quello più difficile. Rispondimi di nuovo sinceramente, di quale droga fai uso?”
“Cybermeth, versione 1.7. Vaffanculo, tra tutte le droghe che c’erano dovevo beccarmi pure quella buggata.”
“Non sono molto informato sulle nuove droghe, dovrai parlarmene. Di cosa si tratta, una nuova anfetamina sintetica?”
“Più o meno, ma è completamente diversa. È un drug-software. Gli spacciatori vendono dei piccoli banchi di memoria che possono essere collegati ad una porta AKV neurale – disse Mary, spostando una ciocca di capelli per mettere in mostra la presa innestata dietro l’orecchio destro – quando ciò avviene, la porta scarica il software e lo fa partire direttamente nel cervello, mandandoti in corto circuito i neuroni. Il programma gira per circa un’ora e fa lo stesso effetto di un trip di acido. All’inizio sembrava essere una roba buona. Causa dipendenza come le altre droghe, ma non essendo polvere o roba da ingerire non ti fotte polmoni e fegato. Poi si è scoperto che le porte AKV non reggono bene il programma e alla lunga questo ti ammazza i neuroni. È quello che mi sta succedendo, i miei occhi non sono sempre stati… così.”
“È terribile ciò che questo mondo può fare ai giovani. Va bene Mary, voglio aiutarti – disse Bill aprendo le braccia in un gesto comprensivo – ma dovrai essere tu a fare i primi passi. La Luddism Nirvana predica l’astensione da ogni forma di tecnologia moderna. Non voglio mentirti, non sarà facile, ormai niente viene più prodotto allo stesso modo di quasi settant’anni fa. Non le automobili, non il cibo e nemmeno… i vestiti.”
Bill indicò con un gesto esplicativo la nanotuta in carbonio di Mary, che abbassò lo sguardo in silenzio.
“La setta ti aiuterà a gestire le tue necessità, ma il primo passo dovrai farlo tu sbarazzandoti da ogni forma di tecnologia che porti con te.”
“Devo… devo spogliarmi?”, chiese Mary con tono intimorito.
“Non ti chiederei mai di farlo davanti a me, ma dovrai comunque farlo. Ti verranno forniti degli abiti consoni e finché rimarrai tra queste mura dovrai indossare la tunica, come noi. Più questa è di colore chiaro, più indica un alto raggiungimento spirituale negli ideali del nostro credo. Quella sarà la prima operazione. La seconda sarà la rimozione dei tuoi innesti. So che simili operazioni costano, ma la Luddism Nirvana possiede una sala ambulatoria servita da esperti cybermedici. Rimuovere quegli spinotti AKV per sempre sarà la miglior cura possibile alla tua dipendenza. Possiedi altri innesti?”
“No, fratello… non me li sono mai potuti permettere.”
“Credo che questo sia un bene. Ora vai pure, una sorella dell’ordine ti scorterà fino ad camerino dove potrai cambiarti. Ci rivedremo molto presto”, disse Bill alzandosi dalla poltrona e porgendo amichevolmente la mano a Mary. La ragazza la strinse, si alzò e uscì dalla stanza.
Seymour fece la sua ricomparsa dopo alcuni minuti.
“È di tuo gusto, Fratello Superiore?”
“È perfetta – rispose lui leccandosi le labbra – trattatela bene fino a che non sarà pronta.”

Erano passati quasi tre mesi da quando Bill aveva visto Mary per la prima volta. Il Fratello Superiore della Luddism Nirvana si trovava al di là di un vetro a specchio, intento a scrutare sulla sala operatoria situata nei sotterranei del vecchio monastero. Era un luogo ampio e dall’aspetto asettico, dotato di un tavolo operatorio d’acciaio e alcuni macchinari computerizzati per la rimozione di impianti, l’unica tecnologia post-2027 che la setta approvava. Un cybermedico esterno alla setta e alcuni infermieri stavano allestendo la sala per l’operazione di rimozione di impianti neurali AKV che Mary Grabowski avrebbe dovuto affrontare.
Bill rimase in attesa per qualche minuto, dopodiché Mary venne portata nella sala su di una barella spinta da un infermiere. La ragazza indossava solamente una veste medica verde scuro e aveva rimosso tutti i tubi di plastica colorata dai capelli, che ricadevano sul lettino in una tonalità bicromatica abbagliante. Dietro le orecchie, dove si trovavano i due spinotti, era stata rasata. Era sveglia e i suoi occhi impazziti scrutavano di qua e di là.
Il cybermedico, che calzava un abito di plastica asettica bianco, si avvicinò alla ragazza.
“Mary Grabowski, dico bene? – chiese, retorico – stai per subire un operazione al cervello. Dovrò agire direttamente sul tuo sistema nervoso per rimuovere gli spinotti, ragion per cui non potrò usare l’anestesia per troppo tempo, il tuo corpo potrebbe subire un collasso. Collegherò al tuo cervello un programma che ti indurrà in uno stato di falso coma. Non sentirai e non vedrai niente, ma il tuo corpo manterrà le stesse funzioni che mantiene abitualmente durante la veglia. Dovrai solamente stare calma, intesi?”
“Ho capito dottore”, rispose lei.
Collegarono un cavo allo spinotto destro di Mary e uno degli infermieri maneggiò per qualche istante con un computer. Quasi subito il corpo della ragazza si paralizzò e le pupille, che fino ad allora erano state in perenne movimento, si fermarono.
Bill entrò nella sala operatoria con un’espressione sorridente.
“Tutto a posto, dottore?”
“La paziente è sveglia, ma il suo sistema nervoso è paralizzato. Non può ricevere sensazioni esterne, né muoversi”, comunicò il dottore.
“Molto bene dottore. Potrete svolgere l’operazione non appena avrò finito con la mia adepta. Andate pure, vi farò chiamare io.”
Il dottore e i suoi collaboratori annuirono e, come da accordi, lasciarono la sala.
Bill estrasse una ricetrasmittente dalla tasca e la accese.
“Seymour, puoi scendere. Porta i novizi che hai radunato.”
Il Fratello Superiore si avvicinò al volto di Mary e iniziò a carezzarlo languidamente, poi si chinò e le baciò le labbra calde e immobili.
La porta della sala operatoria si aprì e il fratello Seymour, accompagnato da altri cinque fratelli dalle tuniche nere, fece il loro ingresso nella sala.
“Lieto di avervi qui – disse Bill voltandosi verso di loro, sorridendo come sempre – oggi avrete la possibilità di passare ad un rango superiore della setta, di trascendere il metallo e l’elettricità per dedicarvi unicamente alla carne e alla mente. L’unica cosa che dovrete fare è comprendere con i vostri stessi occhi cosa la tecnologia è capace di fare alla mente umana. Essa ci rende burattini e schiavi, incapaci di eseguire i nostri voleri. Schiavi del sistema, servi di qualcosa di materiale, incapaci di seguire i nostri istinti, le nostre voglie e le nostre paure. Osservate questa donna corrotta!”
Bill strappò con violenza la veste medica a Mary, lasciandola completamente nuda sul tavolo operatorio.
“Fratello Seymour, ti prego, mostraci come è in grado di corromperci la tecnologia.”
Seymour si accomodò al computer collegato al cervello di Mary e iniziò a digitare sulla tastiera. Dopo pochi istanti Mary si alzò e si mise a sedere sul tavolo. I suoi occhi erano ancora immobili, il suo sistema nervoso sotto il completo controllo del fratello in grigio ceruleo. I novizi in abito nero osservarono la scena con sguardo voglioso.
“Sono una puttana drogata – disse Mary con voce atona – farei di tutto per potermi fare ancora una volta. Qualsiasi cosa possa fare per guadagnare un po’ di soldi, la farò.”
“Qualsiasi cosa, avete sentito? Questa donna farebbe qualsiasi cosa per potersi fare con la sua merda software uploadata direttamente nel cervello! Venderesti il tuo corpo, donna? Lo faresti?”
Seymour digitò altri comandi sulla tastiera e Mary rispose.
“Sì, lo farei.”
“Hai qui davanti cinque giovani aitanti, Mary – le disse Bill aiutandola a tirarsi in piedi – oggi mi sento generoso, pagherò io tutte le prestazioni che ti chiederanno. Così potrai comprarti tutta la roba che vorrai. Come si dice, Mary?”
“Grazie, padrone”, rispose lei.
Seymour digitò altri comandi sulla tastiera, facendo partire alcuni programmi. Mary si diresse con aria lasciva verso i cinque novizi, lo sguardo immobile davanti a sé.
“Fatemi tutto ciò che volete”, disse.
“Purificate questa puttana tecnologica con la vostra filosofia immacolata e ascenderete ad un nuovo livello del nostro Nirvana!”, esclamò Bill.
I cinque adepti iniziarono a toccarla. Il Fratello Superiore osservò tutto, senza perdersi il minimo dettaglio.

Quando fratello Seymour e i cinque novizi, ora ascesi alla tunica color grigio scuro, se ne furono andati, Bill aiutò il corpo inerte di Mary a indossare l’abito medico e chiamò il dottore e i suoi assistenti con la ricetrasmittente. Gli esperti di cyberimpianti si misero al lavoro senza fare domande, abituati e ben pagati per tacere su qualsiasi cosa fosse successa lì dentro ed ignorare i lividi della ragazza. Bill rimase nella sala operatoria per tutta l’operazione, ad osservare la dolce Mary e il suo grande passo verso una nuova vita immacolata. Quando fu il momento di rimuovere lo spinotto di destra, il dottore somministrò a Mary una piccola dose di sedativo e si affrettò a completare l’operazione prima che il sistema nervoso collassasse.
Furono necessarie alcune ore, ma tutto andò a buon fine.
“È andato tutto bene?”, chiese Bill.
“L’operazione è riuscita perfettamente – rispose il dottore asciugandosi le mani – la paziente è in ottima forma.”
“Entro quanto sarà sveglia?”
“Un paio d’ore, ed entro dopodomani potrà già muoversi dal letto. L’operazione non è stata particolarmente invasiva. Ma come ben sa, lavori del genere sono parecchio costosi.”
“Mary oggi ha guadagnato… molto denaro. Potrà pagare l’operazione, non dovrete preoccuparvi. Riaccompagnatela alla sua stanza”.

Detroit, Anno 2097, Due
“E poi?”, chiese Mordred.
“E poi niente – disse Bill, tenendosi la mano dolorante – è stata l’ultima volta che l’ho vista. Mi fu riferito che appena gli effetti del sedativo cessarono, si svegliò e iniziò ad urlare. Ha dato fuori di matto, ha quasi squarciato la gola ad un’infermiera con un bisturi ed è fuggita dal monastero. Non ho mai saputo che fine abbia fatto.”
“Poi, qualche mese dopo, alcuni agenti di polizia si sono infiltrati nella vostra setta e hanno scoperto che non eravate altro che una fottuta gang di stupratori. Sono finiti tutti in galera, gli adepti, fratello Seymour, i cybermedici che coprivano le vostre fantasie sessuali… tutti tranne te. Comodo avere uno zio all’interno della MBE, vero? Sono pronto a scommettere che è lo stesso che ha fatto così tante donazioni alla Nirvana Luddism e che ti ha dato questo lavoro dopo averti fatto cambiare leggermente l’aspetto grazie ad un po’ di chirurgia. Quando si dice che la famiglia è sacra…”
“Ti ho raccontato tutto quello che sapevo, non ho mai più rivisto quella Mary Grabowski! Cos’altro vuoi da me?”, urlò Bill in preda alla disperazione.
“Sei stato un buon narratore, ma ora voglio che tu sia un ascoltatore. Voglio raccontarti la storia di Mary, ciò che le successe dopo quella notte. Non richiederà molto se tu sarai silenzioso e attento.”
Bill rimase in silenzio e cercò di mettersi in posizione più comoda su ciò che rimaneva del suo televisore, ma le braccia d’acciaio di Mordred lo inchiodarono nuovamente al suolo facendogli lanciare un urlo di dolore.
“Sai qual è il vero problema della Cybermeth 1.7? Oltre a fotterti i neuroni, certo. Quella roba è talmente buggata che manda a puttane anche i contatti degli AKV neurali. Quelli di Mary, per esempio. Funzionavano ancora, ma ogni tanto avevano qualche problema ad accettare nuovi programmi. Il software di blocco neurale che le è stato uploadato poco prima dell’operazione funzionò solamente a metà: fece di Mary un burattino controllato da un computer, ma non le bloccò la percezione del mondo esterno. Quella ragazza ha visto e sentito tutto quanto e al momento del suo risveglio… se lo ricordava bene.”
“Oh, cazzo”, disse sottovoce Bill. Mordred gli tirò un calcio nelle palle e il dolore fu tale che l’uomo non riuscì nemmeno ad urlare. Dalla forza con cui gliel’aveva tirato, doveva avere degli innesti di potenziamento anche negli arti inferiori.
“Proprio quello. Ora ascoltami, figlio di puttana. Non ci metterò molto.”

Il Racconto di Mordred, Anno 2095
Durante quella notte d’autunno, a Detroit pioveva. La pioggia era gelida e appiccicosa, per nulla in grado di lavare via il tanfo che si propagava dalla spazzatura marcescente e dai rifiuti metallici abbandonati per strada.
Mary, impazzita dalla paura e dal dolore, era riuscita a correre fino all’unico luogo che aveva mai chiamato casa: il Loomy Device & Hardware, un negozio di innesti usati e, in generale, “pezzi di ricambio” dove fino a pochi mesi prima lavorava come commessa. Il proprietario, il vecchio Jackson Colt, era stato per lei come un padre adottivo.
Mary non aveva famiglia, non l’aveva più avuta da quando i suoi genitori erano stati uccisi durante una guerra tra le bande dello sprawl a causa di alcune pallottole vaganti. All’epoca lavorava già al negozio di Jackson e quando aveva comunicato la terribile notizia all’uomo, il burbero cinquantenne dalla barba bianca le aveva offerto di trasferirsi lì a tempo indeterminato. Non si sarebbe mai aspettata una gentilezza simile da parte sua, ma Mary sapeva che, sotto sotto, il vecchio Colt era un uomo di buon cuore, anche se la vita era stata dura con lui, portandogli via due figli e il braccio sinistro, sostituito da un vecchio braccio cibernetico multifunzioni, un arnese sferragliante che causava più problemi di quanti ne risolvesse.
Poi Mary aveva iniziato a frequentare le compagnie sbagliate e a fare uso di droghe, una storia semplice e sentita più e più volte, che può capitare a chiunque. Non aveva mai rivelato la cosa a Jackson, che però aveva subito notato i tic nervosi agli occhi dovuti all’abuso di drug-software. Temendo la sua reazioni, Mary era scappata per rivolgersi alla Luddism Nirvana e da allora non aveva più rivisto il vecchio burbero, ragion per cui l’uomo rimase molto sorpreso quando aprì la porta e la ragazza disperata gli si scagliò contro.
“Mary, che ti è successo? Dove sei stata! Entra, sei tutta bagnata… merda, vieni al caldo, qua fuori si gela!”, disse l’uomo portandola all’interno del negozio, una stanza angusta piena di pezzi di ricambio e parti di impianti cibernetici ammassati disordinatamente sopra decine e decine di scaffali.
Jackson le portò un asciugamano e una coperta, oltre che un tè sintetico caldo. La ragazza pareva essersi calmata, ma da quando era entrata non aveva ancora pronunciato una parola. Il vecchio le si sedette di fronte e le strinse le piccole mani con la sua unica mano di carne.
“Sei gelida. Mary, ero in pena per te. Ho creduto che fossi morta. Cosa ti è successo, perché hai indosso questo abito da paziente di ospedale?”
“Sono stata… presa”, rispose lei, le pupille impazzite che non smettevano un attimo di vibrare.
“Sono stati i trafficanti di organi? La yakuza? Dimmi chi ti ha fatto del male.”
Mary gli raccontò tutto, fino all’ultimo dettaglio. Della sua dipendenza, della setta, dello stupro subito. Poi scoppiò di nuovo a piangere e Jackson la strinse tra le braccia. Per quanto il braccio cibernetico dell’uomo fosse di gelido metallo, Mary provò una sensazione di calore.

Mary stava guardando alla televisione un servizio del TG di Detroit che informava che gli adepti della Luddism Nirvana erano stati condannati al carcere con l’accusa di rapimento, circonduzione d’incapaci e stupro di gruppo. Erano passati alcuni mesi da quella notte e Mary si era rimessa fisicamente, ma non mentalmente.
“È finita, Mary. Quello più fortunato si è beccato trent’anni di galera”, disse Jackson, intento a sistemare alcune scatole sugli scaffali.
“Quello più fortunato. Quello col culo più parato è fuori e non si farà nemmeno un’ora di carcere. Fratello Superiore Mullin.”
“Le accuse su di lui sono cadute. È finita.”
“Non è finita! – esclamò Mary scattando in piedi – deve pagare per quello che ha fatto a me e a decine, centinaia di altre ragazze come me! Hai sentito? I poliziotti infiltrati hanno assistito a sedici stupri! Sedici stupri in tre mesi! Quella setta esiste da quasi quattro anni, fatti due conti Jackson! Quell’animale deve morire per quello che ha fatto… e io, come una cretina, mi sono fidata di uno sconosciuto…”
Mary si mise le mani tra i capelli, sull’orlo del pianto. Jackson le andò vicino, mettendole una mano sulla spalla.
“Cosa vorresti fare, Mary? Dimmelo e ti aiuterò, se è in mio potere. Odio anch’io quell’uomo per quello che ti ha fatto.”
“Assoldiamo un sicario”, disse lei con voce atona.
“Costa troppo. Non potremmo mai permettercelo.”
“Allora inventiamocelo”, rispose Mary. Per un istante, Jackson credette di aver capito male.
“Che stai dicendo?”
“Questo negozio è pieno di roba. Vecchi innesti di potenziamento, pezzi di armi da fuoco. Dobbiamo solamente trovare qualcuno che mi attacchi addosso tutta questa roba senza chiedere troppi soldi. Poi a quell’uomo ci penso io.”
Jackson rimase pensieroso per qualche istante, stringendo la spalla di Mary.
“Sarà pericoloso. Credi che sia un giusto prezzo per questa vendetta?”
“Sì”, rispose decisa lei.

Jackson aveva tra i suoi amici Wally Dawson, un tecnomedico a cui avevano revocato la licenza, un poco di buono che sbarcava il lunario estraendo proiettili dal corpo dei membri delle gang di strada e impiantava hardware illegale. Chiedeva poco per compiere un operazione, purché gli impianti fossero a carico del paziente. Per Jackson non fu un problema recuperare nel suo magazzino tutto il necessario.
Mary si trovava sul tavolo operatorio. La sensazione del piano di metallo gelido le trasmise sensazioni orribili, ma questa volta c’era Jackson con lei.
“Posso iniziare?”, chiese il medico.
“Un momento – rispose Jackson – Mary, sei perfettamente sicura? Questi impianti sono vecchi, c’è la possibilità che l’operazione non vada a buon fine.”
“Non mi interessa. Devo farlo. Proceda pure, dottor Dawson.”
Wally le mise una maschera di gomma e aprì la bombola del gas anestetizzante.
“Se dovessi rimanere sotto i ferri, Jackson – disse Mary mentre cominciava a inalare il gas – trova qualcun altro che elimini quel pezzo di merda.”
“Va bene, Mary. Ho preso contatto con un sicario, dovessi cambiare idea, anche se non sarà facile trovare i soldi. Si chiama Mor…”
Mary non sentì finire la frase, perché il gas fece effetto e si addormentò.
La ragazza non si svegliò più.

Detroit, Anno 2097, Tre
“E così la ragazza ci è rimasta e tu sei stato mandato a fare il lavoro sporco al posto suo? Che figlio di puttana – esclamò Bill – che cazzo di bisogno c’era di farmi ricordare tutta questa storia? Tanto stai per farmi un buco in fronte, giusto?”
L’ex-Fratello Superiore sputò ai piedi di Mordred, che gli rifilò un altro calcio nello stomaco.
“Dovevo fartelo ricordare, bastardo. Non sarebbe stata una vendetta vera, goduriosa, piacevole, se non l’avessi fatto.”
“Che cazzo te ne frega a te della vendetta? – gemette Bill - tu sei pagato per fare questo lavoro. Anche non ci fosse stata di mezzo la vendetta l’avresti fatto lo stesso, ti saresti intascato i tuoi soldi e avresti eseguito senza fiatare. So come ragionate voi sicari del cazzo.”
“Non sono un sicario comune, Fratello Superiore Mullin.”
“Piantala di chiamarmi così! Il Fratello Superiore Mullin è morto, non esiste più!”
“Così come è morta Mary”, gli disse Mordred, e si tolse il visore notturno.
“Oh cazzo”, esclamò Bill, spaventato come non mai.
“No, stavolta hai sbagliato”, rispose Mordred osservandolo con i suoi tremolanti occhi verdi.
“Tu sei… lei?”, chiese lui.
“No, Mary è morta quella notte, quando il gas anestetizzante ha fatto effetto. È stato Mordred a risvegliarsi. Sebbene avessi ancora un corpo inadatto, con gli innesti appena effettuati ho svolto un paio di lavori sporchi, ho guadagnato dei soldi e mi sono potuto permettere… tutto questo – disse Mordred indicandosi il corpo con un plateale gesto delle mani – hai idea di quanto costi una plastica facciale? Credo di sì, a giudicare dal tuo bel faccino rifatto.Però ti assicuro che tutto il resto, la cura di testosterone, la rimozione dei seni, per non parlare dell’innesto di un cazzo sintetico perfettamente funzionante… è roba costosa. Per questo ci ho messo così tanto a raggiungerti. Ho voluto mantenere gli occhi di Mary… perché tu potessi guardarli nel momento in cui ti ammazzerò.”
“Cazzo, cazzo – disse Bill buttandosi ai piedi di Mordred – ti prego, perdonami, non era mia intenzione…”
“Ne avevi tutte le intenzioni, verme schifoso. Ma cos’hai lì? – chiese Mordred indicando lo spinotto AKV innestato dietro l’orecchio destro di Bill – il Fratello Superiore Mullin con degli innesti cibernetici? Questo non viola il dogma della tua setta?”
Bill piagnucolò qualcosa di incomprensibile osservando il pavimento.
“Ma devo renderti atto di una cosa, Bill. Avevi ragione, dalla notte in cui la facesti stuprare, Mary non si è più drogata.”
Mordred estrasse da una tasca della tuta un sottile banco di memoria rosso con una presa AKV.
“Ricordi quando ti parlò della Cybermeth 1.7? Ne ho in abbondanza qui con me e ho tutta la notte e tutti i giorni a venire per farti provare i suoi effetti. Questa roba impiega un po’ a mandarti in pappa il cervello, specie da quando hanno messo in commercio le nuove AKV. Causano meno bug di sistema, sei fortunato. Forse morirai di sete prima che ti collassino i neuroni.”

L'Alchimista dei Mondi



L’Uomo agitò le mani insanguinate tentando di scacciare i mulinelli di nebbia multicolore che gli vorticavano intorno. Da quella densa coltre provenivano scintillii rosa confetto, verde veleno, giallo sabbia e blu notte. Il sangue sgocciolava dalle profonde ferite che gli percorrevano le braccia, simili a osceni tatuaggi tribali.
“Questa è la morte?”, bisbigliò l’Uomo.
Ma non lo era. Il dolore alle braccia lo tormentava, segno che una scintilla di vita ancora possedeva il suo corpo. Ma non vedeva più una strada, non sapeva dove andare. Aveva perduto tutto.
Aveva perduto lei.
La nebbia scintillante iniziò a vorticare più velocemente mentre arrancava sulle gambe malferme. Quell’odore, un misto di zucchero e di zolfo, era l’unica cosa che il suo naso percepiva da un tempo che gli sembrava immemore. Aveva fame, e allo stesso tempo sentiva che il suo stomaco avrebbe rifiutato qualsiasi cibo ingerito.
Aveva bisogno di trovare la via.
Il silenzio tombale venne interrotto da una musica triste che proveniva da lontano. Era il suono di uno strumento a fiato, acuto e vibrante, lo stesso suono che l’Uomo pensava potesse produrre il lamento notturno dei fantasmi.
Qualcuno stava suonando una cornamusa.
L’Uomo raccolse i pochi residui di forza che gli rimanevano e avanzò verso quel suono che avrebbe significato salvezza o morte. Poco gli importava, quale fosse delle due: sarebbe stata comunque una significativa variante all’inedia.
Le nebbie multicolori si ritirarono all’improvviso, lasciando posto al grigiore di una ben più comune nebbia. Davanti a lui si trovava un’imponente scalinata di pietra che portava all’ingresso di un palazzo antico e imponente. Le massicce porte di legno erano spalancate e l’ingresso era ingombro di calcinacci.
L’Uomo salì per qualche gradino, poi il suo sguardo cadde su una placca bronzea posta sul muro di fianco alla porta. “BIBLIOTECA” era l’unica parola leggibile. Guardò dietro di sé, intorno a sé, e non vide nulla eccetto una nera oscurità nebbiosa, un vuoto astrale che separava quel luogo dal resto dei mondi. Il suono della cornamusa proveniva dall’alto, sopra il tetto dell’imponente edificio.
Gli vennero le vertigini e fece appena in tempo a portare le mani davanti a sé, poi vide i gradini della biblioteca che si avvicinavano sempre di più alla sua faccia. Questa volta, fu l’oscurità della sua mente ad avvolgerlo.

Al suo risveglio, tutto era molto più chiaro. Si sentiva dolorante e aveva una forte nausea, ma il dolore alle braccia era completamente passato. Era debole, ma per nulla confuso, e vedeva tutto in maniera nitida.
Si trovava sul tetto della biblioteca, un edificio a quattro piani costruito interamente in pietra grigia. Era un luogo piatto e ampio, dal pavimento polveroso e ingombro di librerie piene di tomi antichi.
Che ci fanno dei libri qui, sul tetto?, si chiese, ma un formicolio alla mano sinistra gli fece abbassare lo sguardo verso il suo corpo.
I numerosi tagli sulle braccia erano stati ricuciti con filo nero da una mano esperta e per quanto non ancora completamente rimarginati, non gli facevano male. Quando però vide che la mano sinistra era assente, amputata poco sopra il polso e la ferita era stata cauterizzata e ricucita dallo stesso filo nero, il suo stomaco si contrasse ed ebbe un paio di conati di vomito.
“Ti sei svegliato. Cominciavo a temere che non l’avresti più fatto”, disse una voce bofonchiante e metallica.
L’Uomo alzò lo sguardo e vide spuntare dagli scaffali una figura avvolta in un mantello fatto di stracci multicolori con il volto protetto da una maschera antigas di gomma e acciaio. Alla bocchetta per l’aria era attaccato un corto tubo che pendeva oscillando davanti alla figura. L’Uomo riuscì a distinguere il profilo di un’arma da fuoco stretto tra le mani della figura, un vecchio fucile a canne mozze.
“Chi sei?”, bisbigliò l’Uomo dopo aver preso un ampio respiro.
“Quello che ha fatto sì che perdessi solamente una mano e non tutte e due le braccia, o forse la vita. Ho fatto tutto il possibile, ma la cancrena ti aveva già preso. Ho dovuto tagliare o saresti crepato su questo tetto nel giro di qualche giorno.”
Per il momento, l’Uomo prese per buona quella risposta e cercò di tirarsi a sedere, ma chiese troppo al suo corpo e dopo un solo tentativo ricadde supino nel suo giaciglio.
“Non mangi da giorni e le tue ferite sono ancora aperte. Ti ho imbottito di antidolorifici, per quello non senti niente. Ma li ho quasi finiti, non posso più dartene, goditi queste ultime ore di pace perché poi comincerai ad urlare.”
“Perché mi hai aiutato?”, chiese l’Uomo. Nessuno l’avrebbe fatto, non da quando il loro mondo si era scontrato con gli altri. Era più facile uccidere un uomo inerme che aiutarlo, più facile rubargli le provviste che offrirgli delle medicine per farlo guarire più in fretta.
“Sei arrivato da là fuori, il mio esperimento ha funzionato. Devo chiederti come, devo capire come funzionano adesso le cose. Devo riuscire a scoprire l’alchimia di queste realtà.”
“Ma io…”, iniziò l’Uomo, ma l’oscurità si impadronì nuovamente della sua mente, trasportandolo in un luogo tenebroso che aveva gli occhi di lei.

Trascorse molto tempo prima che l’Uomo riuscisse a rimettersi in piedi e che le ferite alle braccia si rimarginassero del tutto. Il ciclo di notte e giorno era stato alterato dopo l’esperimento, così non riuscì a fare una stima precisa del periodo in cui l’uomo mascherato si prese cura di lui, fornendogli cibo, riparo e cure mediche, ma era stato senz’altro parecchio tempo.
Dopo le parole che gli aveva rivolto durante il suo primo risveglio, quell’individuo aveva parlato molto poco. Non aveva ritenuto opportuno rivelargli il suo nome, chiedendogli di rivolgersi a lui come Alchimista, così nemmeno l’Uomo l’aveva fatto.
La biblioteca si trovava su una piccola isola di cemento che galleggiava nel vuoto, intrappolata chissà come nelle fenditure tra i mondi conosciuti. L’Uomo non riusciva a spiegarsi come fosse arrivato lì, né perché il misterioso Alchimista ne avesse fatto la sua dimora. Ogni tanto, qualche stella sfrecciava nell’oscurità e un pallido sole di colori cangianti faceva capolino dalla nebbia grigiastra, ma erano sicuramente casi fortuiti. Ad eccezione di loro due e di centinaia e centinaia di anni di conoscenze perdute, in quel luogo non c’era nient’altro.
L’Uomo controllava spesso la mutilazione al braccio sinistro, pensando che d’ora in poi avrebbe dovuto cavarsela con una mano in meno e chiedendosi se l’Alchimista avesse effettivamente fatto tutto il possibile per lui. Non si toglieva mai la maschera antigas, non si cambiava mai i vestiti, non mangiava mai. Eppure era sicuro che sotto quella moltitudine di stracci colorati ci fosse un uomo come lui, era una sensazione che percepiva a pelle. Forse era stato sfigurato e si vergognava di mostrare il suo volto, oppure quell’assurda maschera metallica lo manteneva in vita.
I dubbi su cosa cercasse e perché fosse lì, quale fosse il suo obiettivo, continuavano a tormentarlo, ma ogni volta che gli rivolgeva domande sentiva rispondersi che le risposte sarebbero arrivate quando fosse guarito del tutto.
Un giorno l’Uomo si alzò dal letto e si mise a cercarlo tra le centinaia e centinaia di scaffali che stavano su quel tetto, un vero e proprio labirinto di legno e carta. Lo trovò seduto su uno sgabello, circondato da pile di libri, intento a sfogliare le pagine di un vecchio tomo rovinato e dal titolo illeggibile.
“Sono guarito, ora possiamo parlare”, gli disse.
“Lo credo anch’io”, rispose l’Alchimista. Chiuse il tomo con un tonfo e con una mossa elegante e atletica si alzò in piedi. L’Uomo si accorse che aveva poggiato la mano sull’impugnatura del rugginoso fucile che portava sempre con sé.
“Voglio sapere chi sei e perché mi hai salvato la vita”, gli disse.
“L’erba voglio cresce solo per me su questo tetto – gli rispose lui con voce rauca – attento, perché il mio amico qui potrebbe invalidare tutte l’assistenza medica che ti ho gentilmente concesso”. L’Alchimista batté la mano sul fucile con aria esplicativa.
“Mi hai salvato e ora vuoi uccidermi? Bastardo!”
“Niente di tutto questo, ma ora sei di nuovo in piedi e io non ti conosco. Non so chi sei, da dove vieni, perché hai risposto al mio richiamo. Così preferisco premunirmi. Ti farò delle domande e vorrò delle risposte. Se mi avranno soddisfatto allora potrai rivolgermi tutte le domande che desideri.”
“Sta bene”, acconsentì l’Uomo, sapendo di non avere altra scelta.
“Bene, dunque, da dove cominciare? Oh, sì, voglio sapere dove ti trovavi prima di arrivare alla biblioteca. Dove ti sei fatto tutte quelle ferite. Come sei arrivato qui.”
Gli occhi di lei gli tornarono in mente, come una ferita dolorosa che gli lacerava il cuore. Quell’uomo doveva essere un pazzo, uno psicopatico disturbato, e forse sarebbe stato meglio accontentarlo. L’Alchimista batté di nuovo la mano sul fucile e l’Uomo cominciò a raccontare.
“Mi trovavo in un bosco, al di là di questa nebbia, al di là del vuoto. Non so dove era, ma tutto era strano, folle, meccanico. Un incubo partorito da un visionario Gli alberi, alti e verdeggianti, avevano tronchi fatti di ferro rugginoso e foglie d’acciaio verde taglienti come rasoi. Il terreno era polvere di plastica rossa, il vicino ruscello un fiume di mercurio liquido… eravamo io e lei, che mi accompagnava dall’inizio di tutto questo, da quando l’esperimento è stato svolto. Non c’era cibo, eravamo affamati, ma dormivamo, felici di aver trovato un luogo forse freddo e inospitale, ma se non altro sicuro. Non c’erano nebbie vorticanti in quel bosco sintetico, nessun cazzo di mostro pronto a dilaniarti.”
“In quel luogo le creature ci sono eccome”, lo interruppe l’Alchimista.
“Sì, è così. Sono spuntati durante il sonno, bastardi lupi dagli occhi di un rosso luminoso come dei laser accesi, una pelliccia dura di fitti aghi d’acciaio, zanne più simili a coltelli… ci hanno attaccato, me l’hanno portata via. Io ho cercato di prenderla, ma era troppo tardi, di lei rimanevano solo brandelli di carne e sangue. Sono scappato, ma un lupo aveva artigli rugginosi e mi è saltato addosso. Mi ha ferito le braccia, forse mi sono preso il tetano, chi lo sa… sono fuggito nella nebbia e mi sono trovato in un luogo pieno di ombre e colori e lì ho vagato per molto, molto tempo. Non so nemmeno quanto, ma è stato di sicuro lungo. Giorni, settimane, chi può dirlo? Fino a che non ho sentito la cornamusa… e sono arrivato qui. Eri tu, vero? Eri tu a suonarla?”
“Io, sì. Hai sentito il suo suono nella nebbia? Ne sei perfettamente sicuro?”, chiese l’Alchimista avanzando verso di lui, protendendo le braccia colme di eccitazione.
“Chiaro come quel cazzo di sole che ora non c’è più.”
“Ha funzionato! Ha funzionato! L’alchimia funziona ancora!”, urlò l’uomo in preda alla gioia. Iniziò a saltellare per il tetto come un pazzo e facendo sbatacchiare di qua e di là il tubo collegato alla maschera antigas. Intere pile di libri caddero travolte dal suo corpo.
“Spiegami cosa succede! Voglio che tu mi risponda, come diavolo hai fatto? Nessuno può controllare i mondi!”
“Io posso!”, disse l’Alchimista colmo di orgoglio. Si guardò intorno e si grattò la testa coperta dalla gomma come se fosse imbarazzato per la perdita di controllo che aveva appena subito. Raccolse alcuni libri e li sistemò accanto ad uno scaffale dall’aspetto malconcio.
L’Uomo incrocio le braccia, attendendo spiegazioni più dettagliate.
“Quanto ne sai dell’esperimento?”, chiese l’Alchimista con tono di voce basso e profondo.
“Abbastanza. Un folle tentativo di mischiare la scienza con la magia rituale e alcuni concetti filosofici e religiosi. So che hanno chiamato i più grandi scienziati e occultisti di tutto il mondo per creare quel fottuto congegno, il cubo.”
“Nanaeel Caosgi, “il mio potere sulla terra” nella lingua Enochiana. Un cubo d’acciaio con lato di п metri, con tutte le facce completamente istoriate con formule fisiche e matematiche, preghiere, immagini sacre e formule rituali provenienti dai grimori degli stregoni di tutti i tempi, un oggetto che se attivato avrebbe potuto congiungere il nostro universo con gli altri. Il più grande progetto della storia umana e al tempo stesso il suo più grande fallimento.”
“Gli universi non sono fatti per sovrapporsi e questo è il risultato”, disse l’Uomo indicando con il moncherino il vuoto nebbioso che circondava la biblioteca.
Era proprio quello che era successo. Il Nanaeel Caosgi era stato creato per provare l’esistenza di universi alternativi e realtà parallele, dimensioni nascoste e ripiegate all’interno e all’esterno di questo mondo. Quando l’infernale macchinario era stato attivato per la prima volta, però, aveva fuso insieme tutti i mondi, creando un guazzabuglio apocalittico di luoghi, creature, pensieri e leggi della fisica. Esistevano luoghi identici alla vecchia terra come quella strana biblioteca, luoghi talmente inospitali e alieni che la vita umana era semplicemente impossibile e persino luoghi di nulla assoluto. Era l’apocalisse, la più terribile che fosse stata mai immaginata.
“Ne sai abbastanza. Ho incontrato alcuni sopravvissuti in passato, ma la maggior parte non aveva mai sentito nominare il Nanaeel Caosgi, altri l’avevano reputato una leggenda. Tu come fai a saperlo?”
L’Uomo se lo ricordava molto bene il momento in cui la fine era arrivata.
“Ero uno dei soldati incaricato di proteggere gli ingegneri che l’hanno costruito.”
“Alchimia – rispose l’uomo mascherato, tentando di celare il tono sorpreso della sua voce – forse mi potrai essere davvero utile. Conosci la teoria dell’effetto farfalla?”
“Il battito di ali di una farfalla in un prato può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”, rispose lui, felice che l’Alchimista si fosse apparentemente calmato.
“Sì, sì, è così! Vedi, se quella teoria era già vera quando il nostro mondo era separato dagli altri, prova a immaginare quali potrebbero essere le sue possibilità ora che i mondi sono molti! Se nel vecchio mondo compivo un’azione, la reazione era molto prevedibile. Ora dobbiamo confrontarci con la fisica di infiniti mondi oltre il nostro! Immagina cosa potrebbe fare il battito di ali di una farfalla, oltre che a produrre un uragano! Potrebbe far collidere interi luoghi, creare la vita, produrre mortali tempeste di fuoco!”
“Calmati – disse l’Uomo protendendo le braccia avanti a sé – non riesco più a seguirti.”
“Quello che voglio dire è che se prima della collisione dei mondi il suonare una cornamusa avrebbe semplicemente prodotto della musica ora può dare vita a reazioni completamente diverse, perché deve confrontarsi con logiche e fisiche completamente estranee a noi! Potrebbe produrre una tempesta, uccidere una persona o, come è successo con te… portarla qui. Come gli antichi alchimisti giocavano con gli elementi per trasformare la realtà, io voglio ripercorrere i loro passi per produrre nuove e sicure reazioni. Perché una porta che conduce in un luogo può condurre ad un luogo completamente diverso se passando sotto la sua arcata si fischietta una canzone? Perché mischiando il giallo con il blu non sempre si ottiene il verde?”
L’Uomo si portò l’unica mano alla testa, sentendo una forte fitta che lo martellava dietro gli occhi. Tutto ciò suonava pazzesco, ma… se fosse stato vero? Da quando i mondi si erano fusi nulla aveva più funzionato come prima. La porta della cucina del tuo appartamento poteva diventare una porta per una fornace infernale da un momento all’altro. La luce ogni tanto scompariva formando bolle di oscurità. La nebbia si muoveva come se fosse stata viva.
L’Alchimista voleva ricercare tutte queste chiavi. I segreti della vita e della morte, dei quattro elementi, forse la giusta azione per far sì che i mondi si scindessero come naturale reazione.
“Voglio aiutarti”, disse l’Uomo.
L’Alchimista annuì e, sebbene non potesse vederlo, l’Uomo sapeva che stava sorridendo sotto la maschera.

La quantità di alchimie che si potevano generare erano pressoché infinite, un numero talmente elevato che l’Uomo non avrebbe saputo dove cominciare se non avesse avuto l’Alchimista al suo fianco. Si trovavano in una biblioteca, un deposito di tutto lo scibile umano prima dell’apocalisse, informazioni che ora, per la maggior parte, avevano lo stesso valore della carta straccia. L’Alchimista gli disse che forse gli antichi popoli erano riusciti a trovare alcune delle chiavi perdute, sebbene non ne fossero pienamente consapevoli. Presso il popolo delle Highlands si usava suonare la cornamusa per accompagnare il cammino dei defunti verso l’oltretomba, cosa che da un certo punto di vista aveva delle similitudini con quello che era accaduto all’Uomo.
La biblioteca aveva molti vecchi manoscritti sulle antiche religioni, rituali pagani e credenze popolari, per cui i due partirono con l’analizzare quei testi, ma non si fermarono lì.
Scoprirono che un fischio modulato che comprendesse un’intera scala di note, se effettuato in un determinato angolo del tetto della biblioteca, creava una cascata di piccole piume bianche a poche decine di metri di distanza, che fluttuavano nel vuoto per una dozzina di secondi prima di sparire in un bagliore di luce violetta.
Una formula magica degli antichi sacerdoti egiziani permetteva di trasformare in serpenti velenosi la carne andata a male.
Un rito di benedizione dei campi dei druidi celtici rendeva commestibili i rampicanti che crescevano sul lato ovest dell’edificio.
La digitazione del numero “54652836” su una vecchia calcolatrice tascabile scacciava per circa quattro secondi la nebbia che avvolgeva la biblioteca, lasciando intravedere il nero vuoto cosmico.
“Chissà quante reazioni che non possiamo vedere vengono scatenate da ogni nostra singola azione! Con ogni nostro movimento, con ogni tentativo che ci appare infruttuoso noi stiamo alterando gli universi!”, esclamava l’Alchimista ogni volta che un esperimento non andava a buon fine, cosa che accadeva fin troppo spesso.
L’Uomo continuava a pensare a lei, la donna che aveva perduto, uccisa dai lupi di metallo. Era stata la sua amante e la sua compagna da quando l’apocalisse era giunta. Erano stati insieme per amore, odio e disperazione e avevano proseguito fino alla fine. Poi i mondi avevano deciso di portarsela via in una folle esplosione di ossa, carne e sangue. Divorata da bestie che non avevano bisogno di mangiare, che cercavano solo di soddisfare un istinto naturale.
Ora il suo unico compagno era un pazzo senza volto e senza passato che aveva deciso di salvare il mondo procedendo per tentativi, alla cieca, mosso soltanto dalla speranza e dalla fede.
Un esperimento di magia cabalistica fece scoppiare un incendio sul tetto della biblioteca, distruggendo centinaia di preziosissimi tomi.
L’automutilazione rituale creò un varco extradimensionale che attirò decine di mostruose creature scimmiesche, fatte di plastica vivente, all’interno dell’edificio. L’Uomo e l’Alchimista rischiarono la vita più volte per eliminarle tutte a colpi di fucile.
Ad ogni sveglia gli esperimenti si facevano sempre più audaci e pericolosi. L’Alchimista rideva sempre più, impazziva di gioia quando fenomeni apparentemente inspiegabili si verificavano all’interno della biblioteca, come la formazione di crepe nel pavimento di piastrelle di ceramica bianca o l’improvvisa apparizione di pozzanghere di sangue coagulato sui soffitti.
“Una farfalla ha sbattuto le ali in un altro universo”, sussurrava quando accadevano fatti simili.
L’Uomo, a differenza dell’Alchimista, aveva un obiettivo: far tornare indietro lei. Se con alcune combinazioni di azioni era possibile creare fuoco dal nulla, far apparire creature da altri mondi o giocare con le luci e con il tempo, l’Uomo pensava che sarebbe stato possibile farla riapparire, portarla a sé prima che venisse sbranata da quei lupi.
Le sue ricerche erano quindi principalmente focalizzate sugli antichi rituali funebri degli egiziani e dei sumeri, sulle tecniche di imbalsamazione dei primi del ‘900, sulla convocazione di spiriti degli indiani americani.
Provò e riprovò fino all’esaurimento delle proprie energie fisiche e mentali. Ottenne diversi risultati, ma nessuno fu quello sperato. La sua carne assunse la rigidità della morte, il suo respiro divenne di polvere, attorno a lui iniziarono a radunarsi centinaia e centinaia di corvi neri, ma lei non tornò.

Dopo l’ennesimo esperimento fallimentare, l’Uomo si recò dall’Alchimista. Lo trovò intento a consultare un’antica Bibbia del XVI secolo. Mentre leggeva i suoi paragrafi accarezzava ogni singola pagina come se ne fosse sessualmente attratto.
“Ne ho abbastanza, pazzo bastardo!”, tuonò l’Uomo, ormai ridotto fisicamente ad un cadavere.
“Qual è il problema?”, chiese lui candidamente.
“Tutta questa è follia! Tu la reputi una scienza, un’Alchimia degli eventi, ma non lo è! Non è possibile alterare gli universi semplicemente con la speranza che ciò avvenga! Quello che stai cercando di infilarmi nel cervello è come una religione: rituali senza significato che si svolgono per ottenere un’ombra di falsa speranza! Ma io non ci credo, non voglio essere un cieco! Io voglio fare, non voglio che le cose avvengano imputandole a chissà quale fottuta forza superiore!”
“So cosa stai cercando e secondo me non puoi ottenerla in quel modo, non in questi mondi. Non puoi decidere quando una farfalla deve battere le ali.”
“Te lo dimostrerò, maniaco psicotico. Tu vendi false illusioni, io ti propongo la realtà, che è sempre più difficile da ricercare e più complessa da capire, sarà per questo che ti nascondi dietro quella maschera. Non perché non vuoi farti vedere, sei tu a non voler vedere.”
L’Uomo si allontanò, lasciando il silenzioso Alchimista con la sua Bibbia e il suo cervello pieno di false speranze. Era intenzionato a compiere il miracolo.

Trascorse i periodi successivi a riconsultare i testi, fondere tra loro i rituali antichi e aggiungendo una piccola parte di conoscenze scientifiche e paranormali. Mischiò la formula della formaldeide e le molecole di carbonio ai 21 grammi dell’anima. Usò il metodo, non il caso. Non si appellò alla speranza.
Provò e riprovò, fino a che, dopo un tempo talmente lungo che i suoi capelli erano divenuti bianchi e le braccia tremolanti, riuscì a portarla lì. Era lei, identica all’ultima volta che l’aveva vista in vita. L’Uomo si avvicinò, la strinse tra le sue braccia, la baciò dolcemente sulla fronte.
“Ti ho riportato da me”, fece in tempo a dire, poi lei si dissolse in una nuvola di polvere grigia. L’Uomo strinse l’unico pugno che gli era rimasto, pianse tutte le lacrime che gli erano rimaste in quel corpo secco e urlò. Sfogò tutta la sua rabbia e fu durante quella furia che non aveva più nulla di umano che realizzò che ce l’aveva fatta. L’aveva riportata da lei, seppure per poco tempo.
L’Alchimista, nascosto tra le massicce librerie della biblioteca, aveva visto tutto e si fece avanti tenendo tra le mani il fucile, furente ed invidioso per aver assistito a ciò che lui non era mai stato in grado di fare con le sue permutazioni casuali di elementi.
Puntò il fucile alla schiena dell’Uomo, sofferente e vittorioso, e sparò un singolo colpo. Le viscere del vecchio esplosero con un rombo, spargendosi per tutta la stanza e macchiando i libri immacolati.
L’Uomo si volse verso di lui e lo osservò con attenzione. Si era aspettato una reazione del genere, aveva capito da tempo che quello era l’effetto farfalla che gli era destinato, ma ormai aveva fatto tutto ciò che doveva. Aveva provato che il metodo era possibile. Poteva morire in pace.
“Ti assolvo dai tuoi peccati”, sussurrò l’Alchimista.
L’Uomo chiuse gli occhi e morì. Dall’altra parte non ci fu niente ad attenderlo.