Estate 2006 - I
-
Non potevi scegliere un posto peggiore per trascorrere le vacanze. Guardati
intorno! Qui non c’è nulla, assolutamente nulla da fare.
Per la quinta volta quella sera, Filippo ignorò le
lamentele di Gabriella. Come il vento tra i rami di un bosco selvaggio, alcuni
suoni sono destinati a non essere ascoltati dall’uomo. Otto giorni prima erano
arrivati a Ballia, una piccola località marittima nel sud Italia, dove il nonno
di Filippo aveva vissuto la sua gioventù, prima di trasferirsi a Torino per
lavoro portando con sé la giovane moglie e suo padre, che all’epoca aveva
appena due anni. Incuriosito dalle sue origini, Filippo aveva deciso di visitare
il paese, in cui non era mai stato e dove la sua famiglia possedeva ancora una
piccolissima casa sulla spiaggia. Le ferie estive gli avevano dato questa
possibilità, così, dopo averne parlato con Gabriella, avevano deciso di
partire. Era la loro prima vacanza insieme.
- Mi ascolti quando parlo? Io mi sto annoiando.
- Si, ti ho sentito.
Quando il vento diviene talmente forte da rompere i rami è
impossibile non sussultare e, giorno dopo giorno, la sua compagna si era
trasformata in una violenta brezza carica di neve. Rinvigorente e stimolante
all’inizio, ma che a lungo andare ti gela le ossa nel profondo. Non che
Gabriella avesse tutti i torti. Ballia era in passato, ed è tuttora, nulla più
che un paese di pescatori, incapace di offrire la minima attrattiva, eccezion
fatta per le acque marine eccezionalmente limpide. Dopo pochi giorni di
spiaggia assolata e passeggiate sul lungomare, Gabriella aveva iniziato a
mostrare insofferenza. Venivano entrambi dalla grande città, ma era lei quella
maggiormente legata ai suoi ritmi e divertimenti. Se non c’era un party,
un’uscita con gli amici, un qualcosa di nuovo ed eccitante da fare, il malumore
prendeva il sopravvento. Filippo era meno dipendente da queste cose, e pur
divertendosi molto nella movida torinese, non ne sentiva una reale necessità.
Era la rara persona che avrebbe potuto passare ore a osservare un paesaggio
splendido senza annoiarsi.
Continuarono la passeggiata serale sul lungomare. I pochi
turisti erano per lo più anziani in vacanza, o famiglie con bambini strillanti
al seguito. Se si escludeva loro, e i continui sbuffi di Gabriella, si sarebbe
sentito solo il ritmico suono delle onde che si infrangevano sulla battigia.
- Facciamo qualche foto, ti va? – chiese improvvisamente Filippo,
tentando di alleggerire il disagio della compagna.
Gabriella si strinse nelle spalle e arricciò il naso, segno
che sì, andava bene, ma che in realtà
non le importava poi più di tanto.
- Sulla spiaggia però. Questo lungomare è troppo triste –
disse lei, mentre Filippo stava armeggiando con la fotocamera.
Scesero la breve scalinata di cemento che portava alla
spiaggia e percorsero in silenzio la passerella tra le file di ombrelloni e
sdraio deserti. Poco lontano, Filippo vide un gruppo di scogli che si
protrudevano dalla riva come un’escrescenza, e li indicò alla sua compagna
pensando che fosse il posto ideale per scattare delle foto. Lei annuì
impercettibilmente.
Dopo pochi minuti, si trovavano entrambi a camminare su
quegli scogli scivolosi ma stabili. Filippo osservò il mare, quell’oscura
vastità ignota che tanto gli ricordava il cielo notturno. Non c’era molta
differenza tra lo spazio e il mare, pensò Filippo. Entrambi freddi, crudeli e
per lo più sconosciuti. L’uomo cercava di conquistare il primo, quando non
aveva ancora ben chiaro cosa ci fosse nel secondo, decisamente più a portata di
mano.
- Allora? Sto aspettando – disse la sua compagna. Mentre
era assorto nei suoi pensieri, Gabriella si era seduta sull’ultimo scoglio del
gruppo, in posizione accovacciata. I suoi capelli biondi e ricci erano agitati
dalla brezza carica di iodio.
Filippo la inquadrò nell’obiettivo e fece uno scatto. Il
flash trasformò la notte in pieno giorno per una frazione di secondo.
- Fammene un’altra – disse lei – sono sicura che è venuta
male.
Un altro problema di Gabriella era questa sua fissazione
per le fotografie. Era convinta di non essere fotogenica, di venire male in
qualsiasi ripresa, così Filippo era costretto a interminabili sessioni
fotografiche da cui lei, alla fine, salvava non più di due o tre foto di cui
non era comunque pienamente soddisfatta. Quando gli venne in mente ciò, pensò
che probabilmente avrebbe preferito continuare a sentire le sue lamentele sul
lungomare, ma ormai il danno era fatto.
Filippo cominciò a scattare foto all’impazzata, non dando
tempo alla sua ragazza di mettersi in posa. Dopo qualche minuto, lei borbottò
qualcosa sulla sua incapacità e ritornò verso di lui. Filippo pensò che quella
sarebbe stata, molto probabilmente, la loro prima e ultima vacanza insieme.
Gabriella gli prese la fotocamera dalle mani, e iniziò a
scorrere le foto fatte pochi istanti prima. L’impegno di Filippo venne per la
maggior parte cancellato senza che avesse il tempo di ribattere.
- Questa non è male – disse lei alla fine, mostrandogli l’unica
foto salvata.
Effettivamente, Filippo aveva colto proprio il momento
giusto per quello scatto. Il vento aveva alzato i capelli della sua compagna, e
lei aveva lo sguardo intento a scrutare l’orizzonte, perso nei suoi pensieri.
Il vestito blu che portava quella sera era anch’esso mosso dal vento, rivelando
maliziosamente il polpaccio e parte della coscia.
Filippo annuì con un mezzo sorriso, poi notò quella cosa.
Nel mare nero si vedeva chiaramente qualcosa sul pelo
dell’acqua. Era appena percettibile, niente più di qualcosa di pallido nello
scuro abisso, ma era sicuro che ci fosse. Non era un pesce, né un detrito
portato a riva dalle onde. Era qualcosa di vivo, colto dallo scatto nei pochi
istanti in cui era emerso in superficie. Qualcosa che si voleva nascondere, ma
che non era stato in grado di sfuggire all’occhio infallibile della fotocamera.
Filippo provò un moto di disgusto, perché quella
cosa era nauseante, ma allo stesso tempo ne divenne irrimediabilmente
attratto. Era come se tutti i segreti del mare gli fossero stati svelati.
- Lo vedi anche tu? – chiese con voce tremante.
- Di che parli?
- Quella cosa nel mare, dietro di te. La vedi?
- Non vedo proprio nulla – rispose Gabriella dopo aver
esaminato la foto per qualche secondo.
- Cristo santo, come fai a non vederla? Oddio, sembra…
sembra… - ma non riuscì a completare la frase. Le parole gli morirono in gola.
- Fil, mi stai facendo paura – gli disse lei.
Filippo non riusciva a staccare lo sguardo dalla foto.
Pensò che era così evidente, come era possibile che lei non se ne accorgesse?
Divenne prima paonazzo, poi pallido, e sentì mancarsi le forze. Trovò l’energia
necessaria per alzare lo sguardo verso il mare, ma non vide altro che oscurità.
- Torniamo a casa -
disse improvvisamente lei – non so cosa tu abbia visto, ma non credo che tu
stia bene.
E così fecero. Filippo rimase silenzioso per tutta la lunga
camminata del ritorno, continuando a pensare a quell’essere che solo lui era in
grado di vedere.
Autunno 2014 - I
La
notte di Halloween dona potere, questo lo sapevano tutti i ragazzi. Era la
notte in cui si poteva uscire per strada, truccati e mascherati, con il solo
intento di far danni. Poco importava che la festa fosse una tradizione tutta
americana giunta solo da pochi anni nella piccola Italia. Bastava aver
visionato Il Corvo almeno un paio di
volte per capire che, in quella notte, tutto era possibile, e si poteva uscire
impuniti da qualsiasi situazione.
Questo era ciò di cui Andrea, quindici anni compiuti da
poco, era fermamente convinto. Erano circa le dieci di sera, una fresca brezza
giungeva dal mare, e le strade di Ballia erano deserte. C’erano vantaggi e
svantaggi a vivere in un paesino dimenticato da tutti sulla costa. I vantaggi
erano che il mare era sempre a disposizione, e durante l’estate la zona si
riempiva di turisti, e Andrea aveva imparato ad apprezzare solamente da pochi
anni la vista delle sue coetanee in costume da bagno. D’altro canto, per i
rimanenti nove mesi dell’anno non c’era nulla, ma veramente nulla da fare. In paese
rimanevano solo vecchi, e tutto diventava più morto dell’ultimo cane che aveva
posseduto.
I suoi compagni di scuola vivevano tutti in altri paesi
sparsi per la costa e l’entroterra, e l’unico amico che aveva in quel buco era
Giovanni, che in quel momento stava camminando al suo fianco con aria spavalda
e un pessimo trucco da zombi. Andrea, invece, aveva calata sul volto una
maschera da hockey.
- Non c’è nessuno in giro! – esclamò Giovanni – ma non lo
sanno che è Halloween?
- Cosa vuoi che ne sappiano, qua sono tutti vecchi. Ed è
meglio che evitiamo certe case, ho sentito che l’anno scorso quell’ubriacone
del Cataldi ha mandato via dei ragazzini puntandogli addosso la lupara. Quelli
si sono cagati talmente sotto che sono corsi a nascondersi al bar più vicino.
- Il Cataldi è tutto scemo, quando sarò vecchio non
diventerò così. Ma quanti anni avevano questi?
- Non so, undici, dodici…
- Normale che si siano presi paura, allora. Fosse successo
a me, gli avrei levato di mano l’arma.
- Sì, metti che quello ti sparava.
- Sai quanti soldi prendevano i miei?
- Sì, forse, ma tu eri morto comunque – rispose Andrea, che
aveva più senso pratico, chiudendo definitivamente la conversazione.
Si mossero prima verso il lungomare, dove si fecero un paio
di foto con i loro smartphone, poi si infilarono in una vecchia cabina
telefonica, residuo di una civiltà dimenticata, e imbrattarono le vetrate con
dei pennarelli che si erano portati appositamente per l’occasione. Giovanni
guardò con un misto di approvazione e soddisfazione la scritta FUKING HALLOWEEN NIGHT che Andrea aveva
tracciato.
- Sei sicuro che si scriva così?
Andrea annuì.
Camminarono ancora un po’,
incrociarono un paio di persone, tra cui un uomo di almeno settant’anni che
quando li vide contrasse la mandibola e li squadrò con aria sdegnata,
fermandosi in mezzo alla strada, e continuò a fissarli fino a che non sparirono
dietro l’angolo.
Qui, in una stradina buia dove
c’era solamente un alberghetto chiuso per ferie, si divertirono a tracciare con
il gesso le loro sagome sull’asfalto.
- Domani crederanno che è morto
qualcuno. Sai che spavento?
Andrea rise, soddisfatto. Il
potere della notte di Halloween era nelle sue mani.
Tornati sul lungomare si
guardarono intorno, incerti sul da farsi, quando un lampo nell’oscurità attirò
la loro attenzione. Videro sulla riva un uomo, avvolto in uno spesso
impermeabile grigio, intento a scattare foto. Tra le mani teneva una fotocamera
di come non se ne vedevano più da qualche anno. Era magro, con la barba di tre
giorni, e aveva un’espressione triste in volto.
- Guarda, c’è il fotografo. Un
altro scemo.
- Chi è? – chiese Giovanni.
- Ma come, non lo sai? Avrò
avuto sette o otto anni la prima volta che l’ho visto. Quello viene qui tutte
le notti, sempre su questa cazzo di spiaggia, a fare foto al mare. Sono anni
che va avanti, non importa se piove o fa freddo. È sempre qui. Una volta l’ho
visto al bar di Enrico, era entrato per prendere un caffè, e si è seduto a un
tavolo da solo. È stato a borbottare tutto il tempo, come se parlasse con
qualcuno, ma non c’era nessuno con lui! Forse poi si è accorto che lo stavo
guardando, perché mi ha lanciato un’occhiataccia e se ne è andato.
- Che tizio strano. Ma perché fa
le foto?
- Cosa vuoi che ne sappia io?
Abita in una casa sulla spiaggia, poco lontano da qui. Quel posto mette i
brividi.
- Andiamoci! – esclamò Giovanni,
con il suo solito fare spavaldo.
- Come sarebbe?
- Ho detto andiamoci, tanto lui
è qui, andiamo a ficcare il naso! Magari tiene qualche schifezza in casa, che
ne so, dei cadaveri.
- Secondo me è scemo e basta. E
se rientra?
- Che vuoi che faccia? Mica tira
fuori la lupara come il Cataldi.
- E tu che ne sai?
- Andiamo, è Halloween! O
adesso, o mai più!
Giovanni aveva ragione. Era
Halloween, e il potere di quella notte non sarebbe tornato fino all’anno successivo.
Si mossero a passo svelto verso casa del fotografo, lanciandosi ogni tanto
delle occhiate alle spalle per controllare che fosse ancora dove l’avevano
visto.
La casa sulla spiaggia era un
cubicolo di cemento e malta grigi, con un cortiletto colmo di erbacce tutt’intorno.
Con qualche sdraio, un gazebo e una pitturata alle pareti avrebbe potuto avere
un aspetto solare, ma così malridotta sembrava nulla più che un malriuscito
tentativo di abuso edilizio.
Si avvicinarono con circospezione, e si resero conto con
sorpresa che il cancelletto che dava sul cortile era aperto. Entrarono,
muovendosi a ridosso delle erbacce e di alcuni vasi pieni di terra, ma privi di
piante. L’interno dell’abitazione era buio, e Giovanni si avvicinò con
decisione verso la porta principale.
Andrea valutò che molto probabilmente sarebbe stata chiusa
a chiave, e che avrebbero dovuto rinunciare ai loro propositi. Il pensiero gli
diede un po’ di conforto, anche se non l’avrebbe mai ammesso con il suo amico.
Giovanni spalancò la porta e guardò l’amico con aria
trionfale, facendo un inquietante sorriso zombificato.
Ficcò la mano all’interno per cercare un interruttore della
luce, ed ebbe fortuna. Dopo pochi istanti, una lampadina polverosa illuminò
l’ambiente. Entrarono, e si richiusero la porta alle spalle.
La casa era composta da solo due stanze e un piccolo bagno.
Quella dove erano entrati fungeva sia da salotto che da camera da letto, a
giudicare dal materasso avvolto dalle coperte luride e un piccolo televisore
appoggiato su un mobile. Da lì potevano vedere giusto qualche ombra della
stanza accanto, probabilmente una cucina. Ciò che li impressionò maggiormente
furono le centinaia di piccole immagini stampate su carta fotografica che
facevano bella mostra su pareti, mobili e bacheche di compensato, tenute su con
scotch e puntine. Tutte queste foto ritraevano il mare visto dalla spiaggia di
Ballia, e sempre di notte. Una sola aveva un soggetto leggermente diverso: lo
sfondo era sempre marino, ma in primo piano si poteva vedere una ragazza bionda
seduta sugli scogli. Sotto ogni fotografia era stata scritta una data con la
biro rossa.
- Wow, secondo me questo tizio è un serial killer –
sussurrò Giovanni.
Andrea si avvicinò a un muro pieno di foto e le osservò con
attenzione. A una prima occhiata non l’aveva notato, ma su ogni foto era stato
tracciato un minuscolo cerchio con la biro, ogni volta in punti diversi. Il
ragazzo guardò all’interno del cerchio, ma non vide altro che l’oscurità
marina.
Nel frattempo, Giovanni si era dato da fare per staccare
alcune foto, e ora le stava riponendo in una tasca dei jeans.
- Ma che fai? – chiese Andrea.
- Prendo qualche prova – rispose l’amico – altrimenti
nessuno crederà mai che siamo stati qui.
Poi la porta si aprì, e Filippo li vide.
Estate 2006 – II
-
Filippo, io torno a casa – disse Gabriella con tono che non ammetteva repliche.
Erano passati tre giorni dalla
sera in cui il suo fidanzato aveva scattato la foto, e da quel momento in poi
ne era stato completamente ossessionato. Per tutte le sere seguenti si era
recato nello stesso punto della spiaggia, vicino alla formazione di scogli, e
per ore non aveva fatto altro che fotografare il mare. Ogni giorno era stato
un’assillante, folle susseguirsi di domande come ma non lo vedi? Qui compare di nuovo! E qui anche, come è possibile che
tu non lo veda?.
In principio, Gabriella aveva
pensato che Filippo le stesse giocando uno scherzo, forse per alleggerire la
tensione causata dalla noia che si era venuta a creare tra i due. Dopo essere
tornati a casa, quella sera, aveva valutato la cosa ed era rimasta divertita,
anche se pensava che Filippo avesse uno strano senso dell’umorismo. Poi aveva
notato che lo scherzo si era protratto il giorno successivo, e quello dopo non
aveva più alcun dubbio: Filippo credeva veramente a ciò che stava dicendo.
Aveva guardato e riguardato
quelle foto, ma non aveva trovato niente di strano. Il mare era scuro, solo la
schiuma delle onde più vicine alla spiaggia erano visibili, e non c’era nessuna
creatura rivoltante intenta a nuotare nell’acqua. Aveva più volte tentato di
farsi descrivere cosa lui vedeva, ma non c’era stato verso di ottenere
risposte. Pareva che lo stesso tentativo di raccontare la forma della creatura
causasse in lui un moto di disgusto, forse addirittura terrore. Quel pomeriggio
aveva preso la sua decisione, e aveva fatto i bagagli. Lui non se ne era
nemmeno accorto, tanto era intento a contemplare le fotografie, e anche adesso,
dopo che lei aveva dichiarato ad alta voce le sue intenzioni, non riuscì a
ottenere reazione.
- Filippo, mi senti? Sto per
andarmene, prenderò il primo treno. Torno a Torino. Se ti importa ancora un po’
di me, se sono ancora leggermente più interessante di quelle tue stupide
fotografie, dimmi qualcosa. Parlami.
- Fa buon viaggio – disse lui,
con voce bassa e priva di sentimento.
- Ma cosa ti è successo? Se solo
tu riuscissi a spiegarmelo…
- Non credo si possa spiegare.
Io riesco a vederlo, tu no. Nessun altro ci riesce. Ho mostrato le foto ad altri,
sai? Al bar sulla spiaggia, ad alcuni turisti. Gli ho chiesto se ci trovassero
qualcosa di strano, se riuscissero a vedere quell’essere. Non ci sono riusciti.
Io sono l’unico che può vederlo. Non so perché, ma è così.
- È perché quella cosa non esiste,
Filippo! Non esiste nessun mostro, nessuna creatura pallida che nuota nel mare!
Te la sei sognata, si è formata questa convinzione nel tuo cervello! Forse hai
avuto un piccolo ictus, un esaurimento nervoso, qualsiasi cosa! Ma devi
convincertene, non c’è nessuna bestia marina in quelle fotografie che scatti!
Gabriella era su tutte le furie.
Non poteva credere che il suo ragazzo fosse impazzito così, da un giorno
all’altro, ma non c’era altra spiegazione plausibile. Ciò che diceva era troppo
folle per crederci.
- Sì, faresti meglio ad
andartene – disse lui, ritornando a scorrere le immagini sulla fotocamera.
Gabriella scosse semplicemente
la testa, e una lacrima le rigò il volto. Raccolse i bagagli e fece per
prendere la porta della piccola e accogliente casetta sulla spiaggia.
- Stanotte mi ha parlato – disse
Filippo, pochi istanti prima che lei uscisse – lui vuole che continui. Nei film dell’orrore i mostri strisciano sempre
nell’oscurità, senza farsi notare… ma lui vuole
essere visto. Non tutti sono in grado di farlo, ma coloro che hanno questo
potere saranno salvi, perché la verità porta sempre salvezza…
Era abbastanza. Gabriella si
chiuse la porta alle spalle e respirò l’aria notturna. Guardò di nuovo il mare,
ma non c’era nulla, assolutamente nulla, oltre alle nere onde che si
rifrangevano sulla battigia.
Due
giorni dopo, Filippo si svegliò di colpo da un sonno profondo e tormentato. La
creatura sussurrava nuovamente, mostrandogli un antico passato. Pescatori sulla
riva di una spiaggia, qualcosa che veniva gettato in acqua, l’essere che ne
fuoriusciva, pallido come la luna e coperto di alghe marcescenti. E tra i
pescatori che lo acclamavano, c’era suo nonno. O forse era il suo bisnonno?
Impossibile comprenderlo, la somiglianza era troppa, ma era sicuro che fosse
qualcuno della sua famiglia. Ogni giorno cresceva in lui la consapevolezza di
qualcosa di grande e mostruoso che si profilava alle sue spalle, rendendolo non
più padrone della sua vita. Tutto ciò che poteva fare era rispondere a
quell’impulso, perché ogni tentativo di sottrarvisi gli portava solo sferzate
di dolore.
Ci mise qualche istante per
capire che qualcuno stava bussando alla porta. Si recò con passo assonnato ad
aprire, e si trovò di fronte un carabiniere in divisa, che lo squadrava con
aria inquisitoria.
- Lei è il signor Cicero
Filippo?
- Sono io, mi dica – rispose,
atono come sempre, in quegli ultimi giorni.
- Sto cercando Terni Gabriella,
è per caso qui?
- No, è andata via da qualche
giorno. Perché la cercate?
- La sua famiglia è in pensiero,
e dopo quarantott’ore possono partire le indagini per persona scomparsa. Ci è
stato riferito che era in vacanza con lei.
- Abbiamo… litigato – disse
Filippo cercando di apparire normale, colto da un improvviso istinto di
autoconservazione.
- E poi che è successo? L’ha
picchiata?
- No, no, ma che dice. È andata
via l’altro ieri sera, credo… ha detto che avrebbe preso il primo treno per
tornare a casa.
Il carabiniere era chiaramente
sospettoso. Gli fece qualche altra domanda di circostanza, poi gli chiese se
poteva entrare. Filippo sudava freddo, aveva come la sensazione che qualcosa
non tornasse, che quell’istinto di sopravvivenza che lo aveva colto non facesse
parte di lui, ma di qualcos’altro, di una creatura esterna. Sentiva l’alito marcescente
del mostro pallido sul collo.
Acconsentì alla richiesta, e per
una decina di minuti buoni il carabiniere fece correre il suo sguardo su ogni
angolo della piccola abitazione. Ogni volta che questi passava vicino alla
fotocamera, appoggiata sulla scrivania, Filippo aveva un brivido involontario.
Comprendeva ora che non voleva che Gabriella se ne andasse, ma qualcosa gli
aveva detto di lasciarla fare. Sapeva che quella voce che gli aveva dato il
suggerimento non era parte di sé. Lui non era più sé stesso, era solamente uno
strumento, l’unico che poteva vedere senza potersi opporre. Filippo non
esisteva più, egli era solamente un visionario.
Il carabiniere terminò il suo
giro di ispezione, poi si congedò raccomandandogli di rimanere in zona.
Tirò un sospiro di sollievo e
tornò a afferrò la fotocamera e la contemplò avidamente, come Frodo con
l’anello del potere.
Non tornò più a Torino. L’essere
pallido gli disse che doveva rimanere, che doveva cercarlo ancora.
Gabriella non venne mai più ritrovata.
Autunno 2014 – II
-
Non dovevate vederle. Non dovevate – disse Filippo, con aria sconvolta.
Andrea e Giovanni ebbero un attimo di esitazione, poi il
secondo si lanciò verso la porta. Filippo tentò di afferrarlo, ma lui fu più
rapido e sgusciò via, lasciando l’amico meno reattivo in balia di quell’uomo,
evidentemente pazzo.
- La prego, noi non volevamo! Non abbiamo toccato niente,
giuro!
- L’avete visto? L’avete visto, voi?
- Di cosa sta parlando??
- La bestia pallida, il mostro degli abissi, colui che
vuole essere visto! Voi siete in grado di vederlo, avete il dono?
Andrea non seppe cosa rispondere, era solo terrorizzato.
- No, evidentemente no. Vattene via ragazzo, qui non c’è
posto per te. Ma sappi che non durerà molto. Ti prenderà, perché tu non hai il
dono, e hai osato metterti alla prova. Vattene via, vattene!
Andrea non se lo fece ripetere, e si lanciò verso la porta.
Filippo non tentò di afferrarlo, si fece semplicemente da parte. Diede
un’occhiata alla casa, cercando di capire se i due ragazzini avevano fatto dei
danni, ma sembrava tutto in ordine. Solo dopo qualche minuto si rese conto che
alcune delle fotografie migliori, che aveva stampato e sistemato
nell’abitazione, erano scomparse. Gridò e si lanciò in strada, in cerca dei
due, ma era già troppo tardi. Erano scomparsi.
Stralci da un famoso quotidiano nazionale
12 Novembre
Gli inquirenti sono ancora alla ricerca dei
due quindicenni scomparsi, Andrea Govone e Giovanni Sacramento. Avvistati per
l’ultima volta la notte del 31 ottobre per le strade della loro città di
residenza, Ballia, non sono mai rientrati nelle loro abitazioni. Le indagini
hanno portato all’arresto di Filippo Cicero, abitante del paese già alcune
volte ricoverato per problemi psicologici e già sospettato, otto anni fa, per
la scomparsa della sua ex-fidanzata Gabriella Terni, mai più ritrovata.
Gli inquirenti hanno dichiarato che
l’arresto di Cicero è stato effettuato per motivi precauzionali, e che al
momento non ci sono prove tangibili del suo coinvolgimento. Ha fatto però
scalpore il video dell’arresto, in cui si sente Cicero urlare frasi sconnesse e
prive di significato come “gli dei del mare sono tra noi!”, e fanno anche
discutere alcune fotografie rinvenute nella sua abitazione...
21 Novembre
La dichiarazione del comandante Arnolfo
relativa alla scomparsa di alcuni carabinieri impegnati nell’indagine sui “ragazzi
di Halloween” ha lasciato l’amaro in bocca. I commenti sono stati pochi e deludenti,
e pare che le stesse forze dell’ordine si trovino in una situazione di crisi…
24 Novembre
In esclusiva, ecco alcune delle fotografie
rinvenute nell’abitazione del sospettato Filippo Cicero, al momento ancora agli
arresti…
26 Novembre
Il corpo di Filippo Cicero è stato rinvenuto
questa mattina nella sua cella, privo di vita. Dalle prime analisi, pare che si
sia tolto la vita impiccandosi per mezzo delle lenzuola nella sua cella…
30 Novembre
Tutti coloro che non sono in grado di vedere
tornino al mare.