sabato 10 maggio 2014

Metamorfosi di una Specie



È successo quasi vent’anni fa, ma ricordo ogni dettaglio come se fossero passate solo poche ore. È stata la giornata più importante dell’ultimo secolo, dell’ultimo millennio… ma che dico, la giornata più importante da quando le prime creature unicellulari sono strisciate fuori dal brodo primordiale!
Ogni volta che ripenso a quel giorno, cuore e mente mi si illuminano e riesco a provare l’intera gamma di sensazioni avute allora… paura, stupore, meraviglia e un profondo senso di simbiosi con l’intero universo.
Sì, sto parlando del Primo Maggio del 2015, il giorno in cui gli Ipkhiss decisero di mostrarsi all’umanità.
Voi all’epoca eravate piccoli, ed è probabile che non ricordiate molto di quegli avvenimenti. Credo che la maggior parte di voi abbiano passato quella giornata chiusi in qualche armadio, o in cantina, a fianco dei propri genitori, incollati alla televisione per seguire gli ultimi sviluppi.
Quando tutto è successo io mi trovavo davanti a casa di un amico, e stavo aspettando che uscisse perché quel giorno saremmo dovuti partire per un viaggio…

Come al solito, Lil era in ritardo. Ero arrivato davanti a casa sua in perfetto orario, gli avevo fatto squillare il cellulare, lui mi aveva risposto con un messaggio con scritto “Arrivo”, ed ero rimasto lì fuori ad aspettarlo per interminabili quindici minuti. Faceva così ogni santa volta, mai che lo trovassi fuori casa ad aspettarmi, o almeno con le scarpe già infilate e pronto a uscire. Alcune volte avevo persino provato ad arrivare in ritardo (e sono sempre stato una persona molto puntuale, quindi arrivare in ritardo, anche se perfettamente programmato, mi dava enormemente fastidio), ma non era cambiato niente. Dopo quindici minuti di attesa usciva, si scusava per avermi fatto aspettare e la volta dopo la situazione era identica.
Come se aspettare di fronte a casa di una persona sia divertente. Non lo è per un cazzo, ti sembra di stare sprecando la tua vita. Ti mette il malumore per il resto della giornata.
O forse ero solamente io ad avere dei seri problemi.
Finalmente Lil uscì di casa, con un borsone sulle spalle, il sacco contenente la tenda da campeggio in una mano e la bandiera della Svezia annodata intorno all’altra.
Tutte le volte che andavamo in qualche posto, che fosse un concerto o, come in questo caso, una festa celtica, Lil si portava dietro la bandiera della Svezia. Lui non era nemmeno mai stato in Svezia, ma sapeva parlare lo svedese, ed eravamo convinti che gli Svedesi fossero dei grandi. Il gelido nord, i vichinghi, l’idromele e i miti Asgardiani, erano tutti argomenti che ci interessavano, e un po’ per gioco, un po’ per passione, avevamo gli stati del Nord Europa sempre nel cuore.
“Bella, scusa per il ritardo”, mi disse entrando in auto.
“Vai tranquillo – risposi io, cercando di trattenere uno sbuffo – pronto per spaccare tutto?”
“Ci spaccheremo noi, come al solito.”
“È proprio questo il bello”, gli risposi io sogghignando.
Mettemmo su il nuovo cd degli Alestorm e partimmo. Dopo pochi metri, nella macchina si respirava già un’atmosfera goliardica.
Ogni anno in quel periodo, si teneva una festa celtica della durata di tre giorni a poche decine di chilometri dalla nostra città. Per tre giorni i druidi benedicevano i campi, eseguivano rituali e tenevano simposi sulla religione e sul culto della natura.
Per quelli come me e Lin, la festa era un’occasione per piantare la tenda da qualche parte, comprare diversi litri di birra e idromele e bere fino allo svenimento. Il tutto senza essere disturbati da vigilanza, parenti e impegni per tre giorni consecutivi. Alcuni probabilmente penseranno che sia squallido, ma in realtà non era così. Prima di tutto, non eravamo solamente noi due: alla festa ci stavano già aspettando diversi amici. Secondo, non eravamo i soli a comportarci così: almeno quattro su cinque dei presenti avevano lo stesso obbiettivo. Terzo, non eravamo degli stronzi. Non era nostra intenzione andare a disturbare i druidi, combinare casini o far scattare risse.
Volevamo solo ridere, scherzare, bere e divertirci intorno a un fuoco per tre giorni, senza pensare a nulla. In un certo senso, quello che eravamo in procinto di fare era un buon auspicio. Di lì a pochi anni tutti gli abitanti della Terra avrebbero avuto la nostra stessa possibilità. Un’unica, eterna festa per tutti.
La realtà che ora tutti conosciamo.

Vedete ragazzi, ogni tanto mi trovo a chiedermi dove sarei ora se gli Ipkhiss non si fossero mai rivelati, o se i governi fossero riusciti a insabbiare la loro venuta con qualche farsa.
Con tutta probabilità, sarei morto. Non penso che avrei potuto sopportare la vita fino a questa età. Non mi ritenevo un depresso, avevo i miei alti e bassi ma ero una persona abbastanza allegra. Ma più gli anni passavano, più mi rendevo conto che alla mia vita mancava qualcosa. È una sensazione tremenda, sapete? Capire che la tua vita non è completa, avere la netta sensazione che quello che ti manca sia lì davanti a te, che stia solo aspettando che tu lo afferri, ma non riuscire a distinguerlo dalla massa di ciò che lo circonda. E a poco a poco, rendersi conto che quella cosa, qualsiasi essa fosse, è scomparsa.
Per questo io tutti i giorni brindo a loro. So che non sono dèi, ma il loro arrivo è stato molto più importante della venuta di Gesù Cristo. Se non altro, ha fatto qualcosa di molto più concreto che portarci duemila anni di oppressione da parte della Chiesa.

Eravamo partiti solo da pochi minuti, quando Lil parlò.
“Devo comprare le sigarette prima di andare.”
“E ricordartelo prima? Il distributore è dall’altra parte della città.”
“Eddai, ci mettiamo cinque minuti, se mi tocca scroccare sigarette per tre giorni sbrocco.”
Sbuffando, invertii la direzione e andai verso l’area abitata. Molti erano in procinto di partire per il ponte del Primo Maggio e le strade erano trafficate. Il tempo, inoltre, non prometteva bene, e probabilmente ci saremo beccati la pioggia.
Mentre attendevo in coda a un semaforo stavo scrutando le nuvole, tentando di capire se fossero solamente passeggere o ci aspettasse un bel temporale, vidi qualcosa lassù in cielo. Sembrava la scintilla di un fuoco d’artificio, di un verde brillante, ma era in alto, troppo in alto. E nel giro di un secondo era sparita, come se non fosse mai esistita.
“Ehi, hai visto?”, chiesi a Lil.
“Cosa?”
“Lassù. Mi è sembrato di vedere qualcosa che volava… qualcosa di brillante.”
Lil scrutò in cielo, ma fummo presi entrambi alla sprovvista quando l’autista del veicolo dietro di noi clacsonò. Era scattato il verde. Silenziosamente ripartii, con la musica dell’autoradio come nostra unica compagna. Il gruppo folk metal scozzese stava cantando di una guerra contro dei calamari giganti che fanno surf.
Dopo una decina di minuti arrivammo al distributore di sigarette, parcheggiai e attesi che Lil uscisse per comprare la sua dose giornaliera, come la chiamavo io.
Alzai di nuovo lo sguardo al cielo, e vidi ancora la scintilla verde, questa volta seguita immediatamente da un’altra. Se il cielo non fosse stato nuvoloso, probabilmente non me ne sarei mai accorto. La scintilla era però più grande di prima, come se qualunque cosa la stesse emettendo avesse perso quota… sì, perché ero abbastanza sicuro di aver visto qualcosa davanti alla scia, come una meteora… oppure un velivolo.
Eravamo vicini all’aeroporto locale (anche se chiamarlo aeroporto era un complimento, era più che altro un piccolo campo d’aviazione per gli amatori) e sentì un rombo. Due elicotteri della polizia ci sorvolarono a bassa quota. Non avevo mai visto in ventotto anni un elicottero della polizia nella nostra città, e ora ce n’erano due contemporaneamente. Stava decisamente succedendo qualcosa di strano.
Quando Lil rientrò in macchina, gli dissi cosa avevo visto. Lui, impegnato a trafficare con il distributore, non si era accorto di nulla. Alla fine mi convinse che non c’era nulla di strano, forse stavano facendo delle esercitazioni. Ripartimmo, questa volta con l’intenzione di non fermarci fino a che non saremmo arrivati alla festa.
Oltrepassammo un paio di rotonde e ci fermammo a un semaforo.
E poi eccoli lì. Ce li ritrovammo praticamente in faccia.
L’astronave di metallo scuro passò sopra di noi a meno di venti metri, lasciando dietro di sé una scia di fuoco verde. Aveva una struttura piatta e rotonda, e in qualche modo mi ricordava il Millenium Falcon di Han Solo, ma era di dimensioni molto più piccole, paragonabili a quelle di un aereo da ricognizione. Sulla parte inferiore era presente una sorta di grande gancio ad uncino, composto dello stesso metallo quasi nero dell’astronave. Glifi e rune in una lingua incomprensibile decoravano completamente la fusoliera, e brillavano del colore dell’oro.
L’astronave era dannatamente veloce, e uno degli elicotteri della polizia che avevamo visto poco prima gli stava dietro a fatica.
Andai a sbattere contro l’automobile incolonnata davanti a me, che aveva inchiodato, e la cosa dette inizio ad un tamponamento a catena. Nessuno si fece troppo male, dato che stavamo percorrendo la strada a non più di trenta chilometri orari.
“Porca putt…!”, urlai, ma il gridò mi si strozzò in gola.
Dal cielo ne piombarono altre. Tutte simili, velocissime e con una scia verde emessa dalla parte posteriore. Tutte avevano glifi tracciati sulla carlinga, ma di forme e colori diversi, come se fossero dei marchi di riconoscimento.
Uscii dalla macchina, e Lil fece lo stesso. Rimanemmo sbalorditi a guardare verso l’alto.
Molta gente intorno a noi si mise ad urlare e si dette alla fuga, e per un attimo fui tentato di fare lo stesso. Ma avevo visto un sacco di film sulle invasioni aliene, ero praticamente cresciuto con Independence Day, e di una cosa ero sicuro: quegli alieni non erano intenzionati ad attaccarci. Ci sorvolavano, compivano evoluzioni nel cielo, volevano renderci partecipi della loro presenza. Ma non ci volevano attaccare, altrimenti avremmo già cominciato a sentire scoppi ed esplosioni tutt’intorno a noi.
Dallo stereo ancora acceso nella macchina, i pirati di Perth smisero di cantare di navi, rum e ammutinamenti, e provenne un suono crepitante, seguito da una serie di ticchettii, schiocchi e fischi.
Poi una voce umana, anche se chiaramente sintetizzata, parlò:
“Popolo della Terra, è venuto il tempo che ci conosciate.”

Per le ore successive, i media ci bombardarono con immagini fasulle di presunti attacchi delle creature extraterrestri, ma non era vero niente. C’erano stati dei morti, quello sì, ma si trattava più che altro di gente che aveva avuto un arresto cardiaco all’arrivo delle astronavi, oppure che stava guidando ad una velocità eccessiva e quando aveva avvistato le navette aliene aveva tirato dritto contro un muro.
Gli Ipkhiss non avevano alzato un dito contro la popolazione terrestre, né l’avrebbero mai fatto in futuro. Durante l’evento io e Lil ci eravamo persi di vista, e non sapevo che fine avesse fatto. Avevo trovato solamente la bandiera della Svezia che svolazzava a pochi metri dalla macchina. In seguito scoprii che era ritornato a casa a piedi. Io avevo fatto lo stesso, e mi ero incollato davanti alla televisione. I miei genitori mi avevano telefonato, ed erano nel panico. Cercai di mantenere il tono più calmo possibile, ma ero eccitato. Alieni! Finalmente in questo mondo succedeva qualcosa di eccitante!
Dopo alcune ore, i canali televisivi vennero oscurati, e per la prima volta vedemmo come era fatto un Ipkhiss. Per voi è la normalità, ragazzi miei, ma vi assicuro che la prima volta che me ne trovai uno di fronte rimasi sconvolto.

La creatura aveva una forma vagamente umanoide. Aveva due gambe, due braccia e una testa, ma le similitudini con la specie umana si fermavano lì. La sua pelle era verde, e quando me ne accorsi inconsciamente pensai che alieno stereotipato. Era magrissima, tanto che si potevano vedere le sue costole, alta molto più di un essere umano, e mi ricordava dannatamente una pianta.
In prossimità delle ginocchia, dei gomiti e del fondo schiena aveva escrescenze carnose e sottili, del tutto identiche alle foglie di una pianta tropicale, ma molto più spesse, in qualche modo polpose. La sua testa aveva un aspetto del tutto simile: delle escrescenze coniche, piuttosto regolari, ricoprivano la nuca e la sommità del cranio. Aveva tre occhi, posizionati in maniera piramidale, e una sorta di corta proboscide lì dove avrebbe dovuto trovarsi la bocca. Sui lati del collo aveva delle sottili pieghe nella carne, simili alle branchie di un pesce, che si muovevano assecondando il suo respiro.
La creatura non indossava alcun vestito, ma era apparentemente priva di organi genitali.
Rimase a fissare in camera per qualche istante, poi cominciò a parlare la sua strana lingua, che era composta da schiocchi, fischi e soffi emessi dalle pieghe sul collo. Fortunatamente, comparvero dei sottotitoli in lingua inglese e cinese.
“Salute a voi terrestri, io sono il rappresentante del popolo degli Ipkhiss, e onde evitare fraintendimenti o azioni che possano nuocere a entrambe le parti, vi comunico che veniamo in pace.”
“Per poterci conoscere meglio, prima di tutto vi parlerò della mia specie. Siamo organismi molto simili a quelli che voi avete classificato come vegetali, ma siamo dotati di un sistema nervoso e muscolare identico al vostro. Necessitiamo solamente di acqua, particelle nutrienti e luce solare per sopravvivere, in quanto il nostro corpo è in grado di praticare la fotosintesi. A differenza vostra non abbiamo sesso, e ci riproduciamo tramite sporogenesi, in modo simile ai funghi che vivono sul vostro pianeta.”
“Sono quasi settanta anni terrestri che conosciamo la vostra specie. I primi contatti con i rappresentati del vostri governi sono avvenuti poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Conosco questo, e molti altri avvenimenti riguardanti il vostro pianeta, perché abbiamo studiato la vostra storia.”
“Vi abbiamo scoperti per caso, mentre le nostre navi viaggiavano nello spazio profondo per missioni di ricerca, e per trovare nuovi pianeti da popolare. Siamo rimasti molto stupiti quando abbiamo scoperto che esistevano altre forme di vita organiche evolute. Dapprima vi abbiamo studiato, abbiamo compreso cosa vi muove e cosa vi rattrista, e siamo scesi a parlare con i vostri rappresentanti per farvi un dono.”
“La mia razza è sempre stata pacifica, e non ci sono mai stati conflitti nella nostra storia. La ricerca è sempre stata il nostro scopo nella vita, e nel corso dei millenni della nostra esistenza siamo stati in grado di sviluppare una tecnologia ancora sconosciuta sul vostro pianeta. Una Tecnologia Metamorfica, in grado di alterare il peso atomico degli elementi, in modo da trasformarli in qualcos’altro.”
“Abbiamo fatto dono di questa tecnologia ai maggiori rappresentanti dei vostri governi, facendogli promettere che l’avrebbero diffusa e resa pubblica. Con il potere di trasformare gli elementi, l’umanità avrebbe potuto finalmente vivere come noi: in pace, prosperità, senza timore della morte, di fame, di guerra o di malattia. Sarebbe stata una tecnologia alla portata di tutti, e tutti avrebbero potuto raggiungere la felicità nella loro vita. Ma così non è stato.”
“I rappresentanti dei vostri governi hanno tenuto tale tecnologia per loro, e hanno nascosto la nostra esistenza per settant’anni. Noi abbiamo pazientemente atteso, confidando nella loro saggezza, sperando che prima o poi i vostri capi avrebbero compreso che l’umanità era pronta a fare un passo avanti. Così non è stato, e ora abbiamo deciso di agire, rivelandoci a voi.”
“Siamo qui per portarvi la Tecnologia Metamorfica, in modo che ogni uomo possa vivere una vita felice. Non ci saranno più governi tirannici, oppressioni come il denaro o la sete di potere. Tutti potranno avere tutto ciò che vorranno. Niente avrà più valore, e allo stesso tempo tutto avrà un nuovo valore. Vivrete come noi abbiamo vissuto per migliaia di anni: in pace, armonia e con una nuova speranza per il futuro.”
“Vi porgo i miei omaggi, abitanti della Terra. Molto presto sbarcheremo sulla superficie del pianeta.”
L’immagine scomparve, lo schermo tornò nero. Improvvisamente divenni euforico, e cominciai a ridere come un pazzo.

Quello che successe dopo, lo sappiamo tutti. I governi dapprima tentarono di giustificarsi, poi iniziarono a dire che queste creature aliene volevano ridurci in schiavitù tramite i loro inganni. La notizia venne ovviamente smentita quando, dopo solamente pochi giorni, gli Ipkhiss iniziarono a distribuire i congegni basati sulla Tecnologia Metamorfica. Erano impostati appositamente per dei principianti come noi, e non si potevano trasformare grandi quantità di materiali in altri, oppure in elementi pericolosi o radioattivi. Quando un Ipkhiss dalla carnagione color sabbia e alto quasi tre metri mi dette uno di quegli strani braccialetti gommosi e mi spiegò come trasformare un sasso in acqua, per poco non detti di matto. Quella roba funzionava, funzionava davvero!
I governi mondiali caddero nel giro di pochi mesi. Chi più, chi meno, avevano tutti taciuto sulla verità degli alieni, e nessuno era più disposto a seguirli o dar loro credibilità. A cosa serviva avere dei comandanti, quando ogni terrestre poteva prendere il suo destino tra le mani?
Il passaggio non fu indolore, non sto dicendo questo. Ci furono scontri, manifestazioni anti-alieniste, e quant’altro. Ma fu comunque meno dannoso di quanto ci si potesse aspettare.
Non c’era più necessità di denaro e lavoro. Ognuno poteva vivere la sua vita come meglio credeva. Si ritornò nel giro di pochi anni a una vita più pura, più vicina agli ideali del mondo della natura, a cui gli Ipkhiss stessi furono ben lieti di riavvicinarci. Quando avevo detto che la festa celtica a cui stavo andando quando comparvero fu quasi un presagio, non stavo dicendo tanto per dire. I culti della natura si moltiplicarono, gli Ipkhiss stessi si unirono alle nostre tradizioni, loro diventarono parte di noi, e viceversa.
Più ci abituavamo alla loro presenza, più loro imparavano ad apprezzare i terrestri. Lo sapete che gli Ipkhiss adorano la musica metal? La prima volta che ho fatto sentire un album dei Finntroll a un alieno di nome T’lakhg, per poco non mi ha spaccato metà della casa per quanto era eccitato.
Sono diversi fisicamente da noi, ma non tanto nello spirito. Anche loro vogliono conoscere ed apprezzare ciò che gli è, in qualche modo, alieno.
Smisi di lavorare, mi concentrai sulla scrittura, del tutto libero da preoccupazioni e impegni. L’intrattenimento era una delle poche cose che ancora contava davvero, con tutto il tempo libero che avevamo ottenuto. Non ottenni mai grande successo, ma a ripensarci adesso, sono convinto di aver vissuto una vita soddisfacente.
In un certo senso, mi sento il protagonista dei racconti che ho scritto fin da quando ero un ragazzo. Avevo sempre voluto che un avvenimento eccitante mi cambiasse drasticamente la vita, e ora che gli Ipkhiss hanno portato qui le loro navi madri e hanno concesso ad alcuni di noi di visitare Sallal, il loro pianeta natale, mi sento eccitato come un bambino.
Sarò uno dei primi uomini a mettere piede nelle loro foreste infinite, popolate da piante profumate e creature esotiche. Vivrò una vera avventura, come mai mi sarei aspettato nella mia giovinezza, quando tutto sembrava essere diretto verso un baratro.
Ci è voluta la realizzazione di un’utopia per capirlo… ma forse l’umanità è migliore di quello che sembra.