martedì 19 giugno 2012

Viola Scuro


Tsc’yich divenne bianco quando la selce affilata colpì il suo avambraccio affondando con profondità nelle carni grigiastre. Il bianco sfumò fino a diventare screziato di nero. I molteplici occhi del fattucchiere fremettero per quello che stava provando, ma il ruolo che si era assunto all’interno della tribù gli imponeva di proseguire. Colpì un’altra volta nello stesso punto di prima e gli altri membri della tribù, che gli stavano intorno per sostenerlo, sentirono chiaramente il rumore delle ossa che si spezzavano. Nuovamente, il fattucchiere provò il bianco, e subito dopo il nero divenne molto più consistente.
Stava per perdere i sensi, ma sarebbe sopravvissuto anche questa volta. Ndhi-ysth sapeva che se avesse assunto in futuro il ruolo di fattucchiere della tribù, l’automutilazione rituale sarebbe spettata anche a lui. Ma l’avrebbe fatto, avrebbe fatto tutto per il bene della comunità.
Tra gli ogunruhe, la comunità era la cosa più importante.
In quella piccola tribù erano in quattro: lui, il suo genitore Krthuskra, il cacciatore Zsogotel e Tsc’yich. Ndhi-ysth era il più giovane, nato solamente dodici anni prima. Oltre i membri della tribù, non aveva mai conosciuto altri ogunruhe, né era speranzoso di averne la possibilità in futuro: per qualche ragione che non gli era mai stata del tutto chiara, i membri della sua razza venivano uccisi a vista da altre creature che il fattucchiere Tsc’yich considerava senzienti, ma che mai avevano dato prova di un’intelligenza poco più che animale al giovane. Erano esseri piccoli ma temibili, ben più bassi degli ogunruhe. Il loro corpo era spesso ricoperto di disgustosi filamenti sporchi, così simili alla pelliccia degli animali, nella regione della testa e del volto, mentre nel resto del corpo erano quasi glabri come la razza di Ndhi’ysth. Come loro avevano due braccia e due gambe. Come loro avevano occhi (solo due, e non la corona di occhi che circondava la testa bulbosa degli ogunruhe permettendo la visione in ogni direzione). Non avevano un becco affusolato e pulito, ma una bocca piena di denti molto spesso infetti, che si staccavano prematuramente. Non avevano arti membranosi posizionati sulla schiena, simili alle ali degli uccelli ma adatti unicamente per nuotare a gran velocità. Non avevano nemmeno un doppio organo respiratore, che gli permettesse di respirare indifferentemente aria o acqua, ma Ndhi’ysth continuava a pensare che quelle creature, quegli esseri chiamati umani (o nani, nome che indicava dei loro simili molto più bassi e pelosi) non erano così diversi da loro.
Tsc’yich finì di amputarsi il braccio e in quel momento divenne nero, perdendo definitivamente i sensi. Krthuskra si avvicinò con della neve fresca tra le mani artigliate e la posizionò sul moncherino, facendo cessare il getto di sangue che ne fuoriusciva. Il fattucchiere si era già amputato entrambe le gambe in passato, come sacrificio necessario per poter eseguire le sue divinazioni. Era sopravvissuto fino a quel momento, e sarebbe sopravvissuto anche questa volta. Ndhi-ysth non vide traccia di viola scuro nella sua aura.
I tre membri della tribù lasciarono il fattucchiere riposare e uscirono dall’umida caverna naturale parzialmente invasa dalle acque situata a ridosso di una palude ghiacciata e si immersero completamente, congiungendosi al freddo fango che fungeva loro da ambiente naturale.
Krthuskra gli aveva detto che i motivi per cui gli umanoidi li odiavano erano principalmente due. Il primo è che prima che Ndhi-ysth nascesse, in un periodo talmente lontano che persino l’anziano Tsc’yich faceva fatica a ricordarselo, gli umanoidi erano stati schiavizzati dagli ibotha-oshab, una razza proveniente da un mondo lontano, oltre le stelle. Queste creature li avevano utilizzati come animali da soma per edificare le loro città sotterranee e, quando necessario, come cibo per sostenere i propri corpi immortali. Poi gli ibotha-oshab erano stati sconfitti dagli umanoidi, che si erano guadagnati la propria libertà. Gli ogunruhe provenivano dallo stesso passato di schiavitù, ma gli umanoidi credevano che la loro “strana” razza di creature magre e dalla pelle grigia fossero alleati degli ibotha-oshab.
Il secondo motivo è che gli ogunruhe possedevano un senso che era completamente estraneo agli umanoidi: la percezione dell’aura. I loro otto occhi erano in grado di vedere le sfumature colorate che circondavano tutti gli esseri viventi, sfumature che cambiavano colore a seconda delle emozioni provate. Gli ogunruhe non avevano bisogno di dimostrare fisicamente le proprie emozioni con gestualità o toni di voce, semplicemente perché erano in grado di vederle con i loro occhi. Possedevano anche diversi altri poteri come una poco potente capacità telecinetica e la possibilità di generare negli altri incubi e illusioni in grado di uccidere, estrapolati direttamente dalle paure della vittima. Era una capacità temibile, la più potente della razza ogunruhe e pressoché sconosciuta tra gli umanoidi. Una capacità derivata dalla loro grande comprensione delle emozioni.
Questi poteri rendevano gli ogunruhe una razza da temere. Il loro non era odio, non era cremisi, ma era verde scuro, era pura e semplice paura.
Gli ogunruhe avevano rischiato lo sterminio in passato e avevano dovuto premunirsi. Le loro tribù non erano mai numerose, tanto che se nascevano troppi figli, il fattucchiere poteva decretare di eliminarne alcuni appena usciti dall’uovo, per evitare di crescere troppo e attirare umanoidi ostili.
Ed era proprio quello il rischio che la tribù di Ndhi-ysth stava correndo in quei giorni. Andando a caccia di orsi, Zsogotel aveva avvistato una colonia di umanoidi che si era accampata a solo qualche vallata innevata di distanza. Per lo più nani e qualche umano, vestiti di pelliccia e armati di asce d’osso e clave di pietra. Ma la cosa più pericolosa era che loro avevano visto lui.
Era tornato alla palude bruciante di rosso, anche se l’arguto Ndhi-ysth era stato in grado di percepire delle punte di verde scuro dentro di lui.
Quando il cacciatore aveva comunicato agli altri la notizia, Ndhi-ysth era diventato di un verde scuro così profondo che per poco non era diventato nero. Temeva che prima o poi quel pericolo sarebbe giunto e aveva il terrore che la sua tribù venisse distrutta e lui fosse l’unico superstite. Non aveva mai avuto molta compagnia, ma non era mai stato veramente solo. Era ancora troppo giovane per essere in grado di creare delle uova e fecondarle, sarebbero passati ancora diversi anni prima che il suo corpo fosse stato in grado di generare gli organi riproduttivi necessari a far nascere un’altra generazione di ogunruhe.
Temeva di perdere il suo genitore Krthuskra, che aveva ancora tanto da insegnargli. Come di consuetudine, non disse nulla. Agli altri bastò lanciargli un’occhiata per comprendere le sue paura.
Così il vecchio fattucchiere aveva deciso di compiere una divinazione sul futuro, ricevere una profezia dagli stessi spiriti della terra che lo avrebbe consigliato sul da farsi, ma prima di compiere la magia aveva bisogno che le sue ferite guarissero. Non ci sarebbero voluti più di un paio di giorni. Ndhi-ysth nuotò fino al fondo della palude e si ricoprì di zolle di fango e ghiaia, decidendo di ingannare l’attesa riposando.

Alcuni giorni dopo, i membri della tribù fuoriuscirono dalle fredde acque e si posizionarono su un isolotto di terreno innevato. Zsogotel aiutò il mutilato Tsc’yich a issarsi sul terreno, poi si sedettero in cerchio. Tsc’yich posizionò al centro del cerchio formato dai loro corpi il suo braccio amputato, a cui il freddo della palude non aveva ancora fatto iniziare il processo di decomposizione. Il fattucchiere alzò l’unico braccio rimastogli ed entrambe le ali membranose al cielo, intonando un canto vibrante e profondo. Quella lingua, un insieme di gorgoglii, versi striduli e parole inarticolate era la lingua degli ibotha-oshab, che gli ogunruhe avevano ereditato. Era un gergo odiato dagli umanoidi, ma che era necessario utilizzare per invocare l’aiuto degli spiriti. Tsc’yich continuò a salmodiare fino a che non divenne di tutti i colori, un misto di emozioni incomprensibile anche agli ogunruhe che si verificava solo quando un individuo utilizzava poteri ultraterreni.
Il suo braccio amputato venne avvolto in un fuoco mistico e cominciò a consumarsi, mentre il fattucchiere assorbiva le conoscenze del futuro dall’aria stessa. Per agevolarlo, gli altri membri della sua tribù iniziarono a emettere lo stesso lugubre canto, divenendo arancio come quando ci si sente in armonia con il tutto. Ndhi-ysth sperò con tutta la forza di cui disponeva che gli spiriti non gli dessero brutte notizie, che la sua tribù poteva essere salvata e che se dovevano essere distrutti voleva morire con gli altri.
Diventava troppo verde scuro al solo pensiero di rimanere solo.
Ci vollero diversi minuti prima di completare l’invocazione, poi Tsc’yich assunse nuovamente un colore comprensibile. Era azzurro, con delle striature verde scuro. Simili rituali erano pericolosi, mettevano a repentaglio la propria vita, ma Ndhi-ysth non vide alcune macchia di viola scuro.
Tsc’yich alzò lo sguardo verso Ndhi-ysth e divenne completamente azzurro, segno della volontà ineluttabile. Aveva preso la sua decisione.

Ndhi-ysth osservò la palude dall’alto della collina coperta di pini innevati su cui si era nascosto. Vide chiaramente Zsogotel e Krthuskra seduti su alcune rocce, con delle lance d’osso strette tra le mani. Il vecchio Tsc’yich doveva essere lì da qualche parte, magari nascosto tra alcuni cumuli di fango o appena sotto il pelo dell’acqua, pronto a utilizzare la sua letale magia quando gli umanoidi avessero deciso di attaccare.
Era ormai questione di ore, Ndhi-ysth lo sapeva bene. Tsc’yich era venuto a sapere dagli spiriti che entro tre giorni avrebbero portato morte sulla tribù. Per lui, Zsogotel e Krthuskra non ci sarebbe stato scampo, nemmeno nel caso avessero tentato la fuga. Solo Ndhi-ysth avrebbe potuto salvarsi, ma solamente se gli altri membri della tribù gli avessero coperto le spalle combattendo e morendo per lui.
Il più grande incubo di Ndhi-ysth era giunto e lui non aveva potuto fare nulla per opporsi a quella sorte.
Durante quegli ultimi tre giorni, il genitore gli aveva fatto proseguire la sua formazione spiegandogli tutte le cose che avrebbe dovuto fare per sopravvivere, svelandogli i segreti della riproduzione, dicendogli come avrebbe dovuto fare per congiungersi agli spiriti come il loro fattucchiere.
Ndhi-ysth sapeva che avrebbe avuto ancora molto da imparare, ma non c’era stato tempo. Sarebbe andato la fuori, sarebbero dovuti passare ancora trent’anni prima di diventare in grado di generare delle uova. Per i prossimi trent’anni sarebbe stato solo.
Trascorse quei tre giorni nel verde scuro più assoluto e disperato, mentre il suo genitore e gli altri due ogunruhe univano rosso e azzurro, animati dalla volontà di combattere fino alla fine per proteggersi dall’estinzione.
Sarebbe dovuto andarsene già da ore, ma non ce l’aveva fatta. Voleva vederli fino alla fine, voleva vedere le loro aure tingersi di viola scuro. Quei pochi minuti l’avrebbero accompagnato per gli anni a venire, sarebbero stati minuti preziosi trascorsi con loro. Minuti che avrebbe ricordato in eterno nella solitudine che lo attendeva. Minuti in cui la sua aura avrebbe potuto tingersi di rosa, il colore dell’affetto e della devozione che provava per loro, un’ultima volta.
Li vide arrivare dalla valle antistante la palude: erano venti umanoidi dall’aspetto brutale, armati di lance affilate e temibili asce dalla lama di pietra. Nei loro capelli erano intrecciate decorazioni in osso e sassi, usanza che gli ogunruhe, così candidi e magnifici nei loro corpi glabri e nudi, ritenevano brutali. Un alone rosso avvolgeva l’intero gruppo di umanoidi, decisi a marciare e a uccidere qualsiasi creatura diversa da loro avessero incontrato sulla strada.
Zsogotel e Krthuskra si alzarono e si posizionarono in difesa con le lance. Tsc’yich strisciò sulla neve e iniziò a salmodiare gli spiriti con la sua voce vibrante. Essi risposero e la neve iniziò a scendere dalle colline circostanti seppellendo alcuni umanoidi.
I bruti si spaventarono, ma continuarono la loro avanzata. Ora nei loro cuori non albergava più solo il rosso, ma un sentimento ancora più temibile, il blu notte, la vendetta.
Quando i primi furono a portata delle lance dei due ogunruhe, essi colpirono dilaniando le loro carni. Zsogotel lacerò la giugulare di un umano vestito di pelle di mammut facendo scattare il becco, poi venne ferito alla gamba da un colpo d’ascia.
Tsc’yich invocò nuovamente gli spiriti, che modellarono l’acqua della palude in fredde braccia tentacolari che afferrarono due nani stritolandoli.
Il suo genitore Krthuskra venne colpito dai giavellotti scagliati da alcuni umani e venne trafitto. Il suo continuo cambiamento di colore, da bianco a nero, da rosso a viola scuro, rese nera anche l’aura di Ndhi-ysth, che però si fece forza e si costrinse a non perdere i sensi.
Voleva stare con loro fino alla fine. Doveva farlo.
Un nano armato di una gigantesca ascia di pietra raggiunse Tsc’yich, che stava rannicchiato tra alcune rocce, e iniziò a mutilarlo a colpi di ascia. Il viola scuro sopraggiunse quasi istantaneamente. Il vecchio fattucchiere era stato il primo a cadere.
Krthuskra durò solamente qualche secondo di più. Riuscì a trafiggere un umano al petto e poi un giavellotto scagliato da un nano a poche decine di metri di distanza gli si conficcò nel cranio bulboso, facendoglielo esplodere. Fu viola scuro anche lui, poi la sua aura si dissipò.
Perdere un genitore era doloroso, ma nella tribù tutti erano stati genitori per Ndhi-ysth in egual modo. Di nuovo, il giovane rischiò di divenire nero.
Zsogotel riuscì a uccidere altri cinque uomini prima di cadere. Dovettero circondarlo, recidergli le ali con dei colpi di ascia ben assestati e trafiggerlo con le lance diverse decine di volte prima che il suo corpo scheletrico ma straordinariamente resistente smettesse di muoversi.
Viola scuro. Ndhi-ysth aveva visto abbastanza. Si voltò, scappò nei boschi lasciando tutta quella morte alle spalle.
Avrebbe dovuto vivere senza di loro.
Corse per ore, procurandosi numerosi graffi a causa dei rami taglienti e carichi di neve.
Verde scuro.
Sarebbero passati trent’anni prima che fosse stato in grado di generare un altro ogunruhe.
Verde scuro.
Avrebbe dovuto cacciare, dormire, mangiare solo con la compagnia di sé stesso. Forse avrebbe potuto non farcela.
Verde scuro.
Tanto sarebbe valso morire direttamente.
Il verde era così scuro che Ndhi-ysth non aveva mai visto l’eguale.
Continuò a correre fino a che il suo apparato respiratorio fu in fiamme, i suoi due cuori battevano all’impazzata, le aure degli alberi si mescolavano a quelle degli animali in tinte di nero.
Il verde scuro di Ndhi-ysth si tramutò in viola scuro.
Capì.

Stava fissando negli occhi Tsc’yich. Era seduto in cerchio con i membri della sua tribù, il vecchio fattucchiere aveva appena finito di compiere la sua divinazione, dopodiché, mosso da una volontà incrollabile di far sopravvivere la sua razza, l’aveva ucciso facendogli vivere il suo incubo più terribile.
Ndhi-ysth si portò una mano al petto. I suoi due cuori avevano smesso di battere. Gli spiriti avevano dato a Tsc’yich la comprensione degli eventi futuri, tale per cui lui aveva deciso che l’unico modo per far sopravvivere la specie era di liberarsi dell’anello più debole della loro catena. Forse gli spiriti gli avevano rivelato che avrebbero potuto salvarsi solamente in questo modo. Ndhi-ysth non riuscì mai a comprendere il perché, ma non lo biasimava, sapeva che la specie era più importante del singolo individuo. Per gli ogunruhe la comunità era tutto e riuscì finalmente a provarlo divenendo viola scuro.
Era grato per ciò che il fattucchiere aveva fatto. Gli aveva permesso di vivere, anche se solo nella sua mente, gli ultimi giorni con la sua tribù. Gli aveva permesso di imparare cose che non avrebbe mai imparato, anche se non gli sarebbero mai servite a nulla.
Gli aveva permesso di non rimanere solo.
Ndhi-ysth osservò con attenzione Zsogotel e Krthuskra. Anche loro avevano capito e le loro aure si erano tinte di rosa in un ultimo, disperato abbraccio ad un compagno perduto.
Poi si accasciò e tutto quanto si fece viola scuro, definitivamente.
Viola scuro non era morte. Viola scuro era gratitudine.

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