È da un po' che non piazzo racconti su questo blog, quindi dopo questo periodo di intensa attività ludica vi offro quello che considero uno dei miei lavori meglio riusciti: La Cometa è arrivato in in finale al Trofeo RiLL 2015, tra oltre 300 racconti iscritti.
Abbassate le luci, leggete con calma, e sognate assieme a me.
Tutto
iniziò con la cometa. Era una notte dal cielo nitido, e le costellazioni lo
illuminavano quasi come se fosse giorno. Avevo da tempo imparato a
riconoscerle: il Dragone Bianco, la Chioma d’Argento, la Gigantessa Temibile.
Le due lune, Myrhien e Charaen, brillavano della luce riflessa del sole,
rispettivamente di un colorito bianco e verde, dando alla notte un’atmosfera da
bosco fatato. Che le due lune mostrassero contemporaneamente il loro volto, era
un evento che capitava solo di rado.
La cometa comparve di sorpresa, e
transitò nel cielo solamente per qualche breve istante, poi fuggì nella volta
celeste.
“Wow! – esclamai, mettendomi a
sedere sul tappeto d’erba su cui ero accoccolata – Korie, hai visto?”
“Visto cosa?”, chiese lei, con la
voce impastata dal sonno. Doveva essersi addormentata, per nulla incantata
dallo spettacolo.
“Una cometa, una stella cadente!
Come hai fatto a non vederla?”
“Stavo dormendo, Ivy, e dovresti
dormire anche tu. Domani ci attende una giornata importante, e noi siamo ancora
qui fuori a prendere freddo. Rientriamo, te ne prego.”
“Non ancora, devo esprimere un desiderio.”
“Piantala con queste stupidaggini!
– borbottò Korie – domani dovremo fare una scelta importante e presentare il
nostro programma di studi agli arcanisti! A quanto ne so, tu non hai ancora
pensato a quale campo della magia dedicherai le tue arti nei prossimi anni,
figuriamoci stilare un programma! E ora siamo qui, fuori dall’accademia, a
guardare le stelle. Ti sembra normale?”
“Questo lo pensi tu, ho tutto bene
in testa. Tutti hanno diritto di sognare, mia cara – dissi facendo un largo
sorriso – ho espresso il mio desiderio, possiamo andare.”
Mi scostai i capelli rossi dalla
fronte. Sapevo che era un gesto che Korie mal sopportava. Tutti i giovani
compiono errori, ma quando si ha a che fare con le forze magiche questi errori
possono costare molto. Lei aveva perso tutti i capelli, e i rimanenti peli
corporei, giocando con forze magiche legate alla necromanzia, e da quel momento
era stata costretta a utilizzare costosissime parrucche per apparire normale.
Gli arcanisti di più alto rango dell’accademia avrebbero potuto farla tornare come
prima, ma avevano deciso di ignorare la sua richiesta, utilizzandola come uno
sprone: se avesse imparato a padroneggiare le arti magiche, avrebbe potuto
farcela da sola. Da allora, la mia migliore amica era cambiata molto. Se prima
era come me, una sognatrice incallita, era diventata materiale e unicamente
interessata allo studio. Lei aveva programmato il resto della sua vita per filo
e per segno, io no. E questo le dava molto fastidio.
“Che desiderio hai espresso?”, chiese,
più per cortesia che per reale interesse.
“Lo sai che non si dice mai,
altrimenti non si avvera.”
“Credulona”, borbottò, e si
incamminò verso il sentiero che conduceva verso le scure porte dell’accademia
arcana. Io la seguii; non aveva tutti i torti, l’indomani sarebbe stata una
dura giornata, ma durante il tragitto continuai a ripensare al desiderio che
avevo espresso.
Volevo sapere dove era andata a
finire quella stella.
Il
Parco Arcobaleno era conosciuto da tutti gli abitanti del regno come un ameno
luogo colmo di piante coloratissime e rare, maestose statue di siepe e monoliti
di cristallo, un vero e proprio tempio dell’arte e del giardinaggio. La
giornata soleggiata gli dava un alone ancor più scintillante, ma quel giorno
ero ben poco interessata ad osservarne le meraviglie. L’intero concilio dei
maghi dell’accademia si trovava in una piazzetta, comodamente seduti su scranni
di pietra ricoperti di cuscini, in attesa che la ventina di studenti di cui
facevo parte si facesse avanti per parlare del piano di studi che ognuno di
loro avrebbe voluto seguire negli anni successivi.
Nessuno di noi era pronto a essere
giudicato dai loro sguardi, dalla loro spocchiosità da anziani, dalla visione
ormai antica con cui vedevano il mondo e le forze della magia, ma doveva essere
fatto. Molti avrebbero chinato la testa e leccato i loro stivali pur di
imparare a padroneggiare la sfera dell’arcano, ma io non ero tra quelli. Sarei
stata sincera, avrei detto chiaramente che cosa desideravo, e se la mia
proposta fosse stata rigettata avevo già in mente un piano di riserva.
Nel codazzo che si era formato,
ero tra le ultime posizioni. La cosa avrebbe potuto essere un vantaggio come
no: quando sarebbe toccato a me, gli anziani maestri sarebbero potuti essere
talmente stanchi di ascoltare le chiacchiere dei giovincelli da accettare
qualsiasi cosa avrei loro proposto o, al contrario, talmente irritati da non
darmi nemmeno il tempo di argomentare.
I primi passarono, proponendo di
concentrarsi nello studio dell’effimera essenza dell’illusione, delle forze
energetiche provenienti da altri mondi o sull’oscuro studio delle arti necromantiche.
Ognuno di loro aveva un progetto ben chiaro in mente, che nella stragrande
maggioranza dei casi veniva criticato con aspre risate da parte degli
arcanisti. Certo, il progetto di creare una melma assorbi-urti per ricoprire
gli oggetti fragili poteva sembrare buffo, ma negli occhi di ognuno di quei
giovani vedevo dei sogni che venivano distrutti e fatti appassire.
Toccò a Korie, che chiese di
concentrarsi nello studio delle arti trasmutatorie dei corpi vivi. Il suo
progetto fu giudicato piuttosto interessante da parte degli arcanisti, anche se
avrebbe richiesto un notevole dispendio di energie magiche e oro;
sostanzialmente, si trattava di fondere alcuni tratti di insetti saltatori e
agili ghepardi ai comuni cavalli, in modo da creare esemplari più veloci,
reattivi e aggressivi, che avrebbero potuto essere allevati e utilizzati come
risorsa per l’esercito. Un progetto ambizioso che, nonostante tutti i possibili
inconvenienti che gli arcanisti badarono bene di farle notare, venne giudicato
fattibile, e alla giovane maga venne concesso il benestare di Urgell Mathar, il
direttore della scuola.
Korie mi passò di fianco con un
sorrisetto. Era abbastanza evidente che le arti magiche che avrebbe imparato a
manipolare le avrebbero fatto riottenere la folta chioma bionda, e ora che
aveva ottenuto il permesso agli studi, era solamente questione di tempo prima
che ciò accadesse.
Passò ancora qualche studente
prima che toccasse a me, poi mi feci avanti. Gli arcanisti mi scrutarono
attentamente, e io feci un lieve inchino. Conoscevo già tutti loro, perché mi
avevano addestrato alle basi delle arti magiche o per semplice fama, ma la
tradizione richiedeva una presentazione.
“Esimi professori, il mio nome è
Ivy di Due Fiumi, apprendista alla vostra superba accademia. Giungo da voi
umilmente per chiedere il vostro benestare sul mio destino come maga.”
“Il tuo destino è ancora da
decidere, studente – disse Urgell Mathar, pronunciando le parole di rito – ma
spiegaci dove hai intenzione di rivolgere le forze della tua mente, e
analizzeremo con saggezza la situazione.”
“Come sapete, esimi professori, le
branche della magia studiano tutto lo scibile umano. La natura dell’anima,
della vita dopo la morte, la plasmazione di forze elementali, la trasmutazione
corporea e il viaggio interdimensionale… sono tutti argomenti che sono stati
appieno trattati, approfonditi e studiati da voi e dai vostri illustri
antenati. Ciò che io chiedo è di poter dedicare la mia mente a ciò che ancora
non è stato preso in considerazione.”
“È forse un modo cortese di darci
degli ignoranti, apprendista?”, disse stizzita Eanal, l’insegnante del corso di
rune e simboli magici protettivi.
“O più probabilmente, vuole dirci
che non ha intenzione di proseguire gli studi. Forse la signorina è spaventata
dal manovrare l’arcano?”, sogghignò Kreüll, il viscido maestro di necromanzia
segretamente chiamato dagli studenti il
ladro di cadaveri.
“Maestri, cosa sapete del cielo?
Cosa sapete oltre al fatto che ospita il sole, le due lune, e un innumerevole
numero di stelle?”
“Chiaramente è una sfera di
cristallo, dentro cui questi corpi celesti sono contenuti”, disse Kreüll.
“Alcuni sostengono che
attraversare la volta celeste provochi effetti simili a quelli del viaggio
interdimensionale”, disse Ialdabog, il grande evocatore.
“È evidente che non c’è nulla al
di fuori del nostro mondo, finito e auto contenuto su sé stesso!”, strillò
Eanal.
“Signori – dissi alzando una mano
per fermare la lite che di lì a poco sarebbe cominciata – è proprio quello che
intendo scoprire.”
Ci fu qualche istante di silenzio
tra i maestri, poi tutto mi crollò addosso. Parlando uno sopra all’altro, inveirono
contro di me, giudicando la mia proposta infantile, adatta solamente a una sognatrice
che non voleva concentrarsi sugli aspetti più terreni della magia. Aspetti terreni della magia! Questi
individui non avevano la minima comprensione delle forze illimitate che essa
poteva scatenare, le stesse forze che mie avrebbero permesso l’esplorazione del
cielo e, forse, di tutto ciò che esso conteneva!
Il pubblico ludibrio continuò per
qualche istante, poi il maestro Urgell Mathar zittì i suoi sottoposti e si
schiarì la voce. In quel momento, tremavo come una foglia.
“Ivy di Due Fiumi, è chiaro che tu
non abbia la minima intenzione di approfondire ciò che è la nostra tradizione,
e invece dedicarti a sciocche ricerche prive di scopo. Con la magia si può
alterare tutto, su questo mondo, e persino nei mondi oltre il velo della
trascendenza. Inferi, Cieli Superni e dimensioni alternative non ti sono forse
sufficienti? Non c’è nulla lassù, se non il freddo e l’oscurità, e questo l’ho
visto attraverso la mia sfera di cristallo. Sciocchezze da astrologo di paese!
Se hai un’altra proposta da farci la ascolteremo, altrimenti sei invitata a
ripresentarti l’anno prossimo con un progetto più consono.”
Scossi la testa, ma non tutto era
perduto, anche se significava che avrei rischiato parecchio. I libri
dell’immensa biblioteca erano stati molto utili per ottenere alcune
informazioni su ciò che avrei trovato negli strati più bassi del cielo, e
sapevo dove avrei dovuto concentrare le mie ricerche.
“Maestri, con il vostro permesso,
vi propongo umilmente un altro progetto. Come sapete, la manipolazione delle
fiamme è uno dei principali ausili magici forniti alle truppe in guerra, ma
come noi sappiamo alterarle a piacimento, possono farlo anche gli avversari
della nostra terra. Vorrei avere la possibilità di studiare dei metodi
economici per fornire alle truppe dell’esercito reale una protezione dalla
magia, e per questo chiedo alla maestra Eanal di accettarmi come sua studente
nel corso di difese arcane.”
I maestri parlottarono un po’ tra loro,
ma sapevo che tirare in causa ricerche che avrebbero favorito l’esercito
sarebbe stato un ottimo metodo per accedere ai materiali richiesti. Alla fine,
sia Urgell Mathar che Eanal mi concessero il loro benestare, e io mi allontanai
con una riverenza.
Korie era poco distante, e mi
attendeva esibendo un sorrisetto di sufficienza.
“Che ti avevo detto? Forse i tuoi
prossimi studi ti rimetteranno un po’ in riga. La maestra Eanal ha la fama di
essere molto severa.”
“Hai ragione Korie, ho considerato
la situazione in maniera errata. Sono sicura che non capiterà più”, le risposi.
Non sarebbe capitato.
Perché
sprecare le proprie energie per viaggiare tra dimensioni ostili, abitate da
creature desiderose di divorare gli incauti maghi che osano varcare i cancelli,
quando conosciamo così poco del nostro universo? Come potevano i grandi
incantatori dell’antichità utilizzare ogni risorsa in loro possesso per
affrontare pericolosi viaggi su altri mondi, quando avrebbero potuto
semplicemente guardare in alto e rendersi conto che le forze che tengono gli
uomini ancorati al terreno non sono nulla, confrontate al potere che potevano
scatenare?
Ero forse la prima a pormi simili
domande? Qualche informazione sugli strati più bassi dell’atmosfera era di
dominio pubblico, nell’ambiente arcano. Era pressoché certo che, più ci si
innalzava sopra il livello del mare, e più la temperatura e la quantità di aria
respirabile diminuivano. Due problemi che avrei potuto affrontare facilmente,
avendo accesso ai laboratori di difese arcane. Esistevano numerosi incantesimi
in grado di proteggere dal ghiaccio e di respirare in assenza di ossigeno,
tutto ciò che dovevo fare era trasferire le proprietà di questi incantamenti su
un equipaggiamento indossabile, in modo tale che fossero rimasti attivi anche
nell’ipotesi di un lungo viaggio.
Le basi della creazione degli
oggetti incantati ci erano state insegnate nei primi anni del corso generico,
così avevo perlomeno un’idea di come avrei dovuto iniziare il mio lavoro che,
sfortunatamente, fu più lungo del previsto. La maestra Eanal era estremamente
severa e, soprattutto, incredibilmente attenta. Sembrava che avesse i sensi di
un elfo, in grado di percepire il minimo cambiamento nella postura di uno
studente e determinare da ciò se si stesse annoiando, se fosse attento o se
stesse escogitando qualcosa. Le sue lezioni erano interessanti, soprattutto in
vista di ciò che avrei dovuto compiere, ma i rari momenti in cui mi trovavo a
vagare con la mente e a pensarmi lassù, a osservare il pianeta dall’alto,
venivano immediatamente interrotti dalla mia insegnante.
Ero costretta a sottrarre i
materiali necessari per la costruzione degli oggetti poco per volta. Essere
scoperta avrebbe significato come minimo l’espulsione dall’accademia, ma avevo
sentito di studenti che in passato avevano subito condanne ben peggiori, come
la totale eliminazione dei propri poteri magici o l’esilio su un diverso piano
di esistenza. Non era l’unico rischio a cui mi sottoponevo: il fallimento nella
mia ricerca avrebbe significato la fine di un sogno, e temevo molto più quella
sorte che la punizione che i maestri mi avrebbero inflitto.
La maschera fu piuttosto semplice
da costruire: utilizzando ceramica, dolce legno levigato e leggerissimi
frammenti di acciaio bianco, creai un oggetto che nascondesse interamente il
mio volto, pur permettendomi una perfetta visuale grazie a una coppia di lenti
affumicate. La ornai con una moltitudine di coloratissime piume di uccello del
paradiso e pappagallo che, oltre ad essere un bellissimo ornamento, sarebbero
state necessarie per completare gli incantamenti su di essa: una connessione al
regno elementale dell’aria in prossimità di naso e bocca mi avrebbe fornito
tutto l’ossigeno di cui avevo bisogno.
Subito dopo costruii l’abito,
utilizzando pelliccia di volpe bianca, cuoio tinto di nero e inserendo
numerosi, piccoli frammenti di cristallo di quarzo. Utilizzai il sangue di un
orso polare per tracciare le rune protettive che avrebbero protetto il mio
corpo dal gelo.
Rimanevano due problemi da
affrontare, o meglio, due facce dello stesso problema. Avrei avuto bisogno di
un oggetto che mi permettesse di staccarmi da terra e volare a una velocità
superiore a quella di qualsiasi uccello. Si stimava che la distanza tra la
terra e la più vicina delle due lune, la verde Charaen, fosse di centinaia di
migliaia di chilometri, un viaggio che non avrei avuto modo di affrontare
volando a una velocità normale. Oltretutto (e di questo mi accorsi,
fortunatamente, quando stavo per completare il mio equipaggiamento, altrimenti
non sarei stata qui per raccontarlo) le testimonianze sulla caduta di frammenti
di roccia provenienti dallo spazio raccontavano che, al momento del loro arrivo
sul pianeta, liberassero un grande calore nella forma di una scia di fiamme, a cui
la meteora stessa non era però immune!
Incantai due ultimi oggetti: un
mantello di ala di dragone, talmente sottile e leggero da essere quasi
inconsistente, che con l’ausilio di qualche grammo dell’essenza di un elementale dell’aria mi permise di volare a
una velocità inconcepibile! Avevo dovuto usare moltissima ala membranosa per
intesserlo, e risultava piuttosto scomodo se ero costretta a utilizzarlo a
terra, in quanto mi si attorcigliava attorno ai piedi, ma era un problema
secondario che al momento non avevo intenzione di affrontare.
Per ultimo, costruii una cintura
di pelle di salamandra e utilizzai un frammento di meteorite forgiato a forma
di stella come fibbia: avrebbe creato un campo di forza che mi avrebbe protetto
dall’attrito, al momento di rientrare nell’atmosfera terrestre.
Dopo quasi due anni di studio
disperato, piccole ruberie ai laboratori e notti insonni passate a incantare,
avevo quasi completato l’ultimo passo della mia ricerca, quando sentii bussare
alla porta della mia stanza. Korie entrò senza neanche aspettare il mio invito,
e io feci appena in tempo a buttare la cintura incantata sotto il letto. Mi
squadrò con un sorriso di sufficienza, facendo sfoggio della lucentissima
chioma dorata che da un anno a quella parte aveva iniziato a coltivare con
orgoglio.
“È inutile che tenti di
nasconderla, Ivy. So tutto quanto”, mi disse, facendomi crollare il mondo
addosso.
“Cosa intendi dire?”, tentai di
dissimulare.
“Non negarlo, forse i maestri sono
troppo impegnati per accorgersene, ma io guardo nella palla di vetro e spio! Ho
ancora la tua immagine ben chiara in testa, chiara come il sole, di come mi
guardasti il giorno della presentazione del programma! Non c’era sconfitta nei
tuoi occhi, ma solamente il brivido di un’altra sfida! E allora ho seguito
tutte le tue mosse, ma è solo nelle ultime settimane, quando ho avuto
finalmente accesso a una sfera di cristallo, che ho potuto sfruttare al massimo
le mie capacità divinatorie. Tu non crescerai mai, Ivy. Non meriti di divenire
una maga, sei solo una bambina capricciosa.”
La fissai con serietà, ed era chiaro
che il suo agire non era dettato solo dal senso del dovere verso l’accademia.
Nei suoi occhi leggevo l’invidia, e il dolore di una ragazza che non aveva mai
avuto un sogno, e che tentava quindi di distruggere quelli degli altri.
“Cosa intendi fare, quindi? Fare
rapporto alla maestra Eanal? O direttamente al rettore?”
“L’ho già fatto, Ivy. Saranno qui
a minuti.”
Non persi tempo. Utilizzai le mie
arti magiche e scagliai una maledizione contro Korie, paralizzando tutti i
muscoli del suo corpo. Rimase bloccata nella sua posizione, capace a malapena
di respirare, ma potevo percepire l’odio sul suo volto. L’incantesimo sarebbe
durato solamente pochi minuti, dovevo agire in fretta. Aprii il cassettone dove
tenevo nascosto tutto il mio equipaggiamento e lo indossai, lasciando per
ultima la cintura. Non avevo avuto modo di perfezionarla, e speravo con tutto
il cuore che funzionasse, altrimenti sarei bruciata viva. Mi passò per la testa
un’immagine del destino a cui sarei andata incontro se avessi aspettato l’arrivo
dei maestri, e ogni mio dubbio svanì immediatamente. Aprii la finestra, e mi
misi in piedi sul davanzale. Sentivo lo scalpiccio dei passi nel corridoio
antistante la mia stanza. L’effetto dell’incantesimo su Korie stava iniziando a
svanire.
“Guardami attentamente – le dissi
– perché tra poco vedrai una stella cadente. Potrebbe essere la tua ultima
occasione per esprimere un desiderio, mia cara amica.”
Mi
lanciai, pronunciando le parole di attivazione. Il mantello si mosse, agitato
da un vento magico, e io volai verso l’alto. Non mi guardai indietro, non
ripensai al rischio che stavo affrontando. Tutto ciò a cui pensavo, in quel
momento, erano le stelle. Per quanto andassi verso l’alto non diventavano più
grandi, e rimanevano immobili a scintillare nell’oscurità. Parevano
irraggiungibili, ma un giorno ci sarei arrivata, non importava quanto ci
sarebbe voluto.
Dopo alcuni minuti rallentai la
mia ascesa, e guardai sotto di me. Le abitazioni, i boschi, i focolari accesi
nei pressi delle case non erano altro che macchie oleose e deboli scintillii.
Così
piccoli, così insignificanti.
Salii ancora, fino a raggiungere
il vuoto e il gelo, poi mi lanciai verso il basso con la velocità di un sasso
in caduta libera. Cominciai a sentire un forte calore, e capii che quello
sarebbe stato il momento della verità: pronunciai le parole magiche. Il campo
di energia, scintillante di un leggero azzurro, comparve intorno a me,
avvolgendomi nella sua calda sfera. Il fuoco brillante iniziò a formarsi lungo
la sua superficie, come l’uovo che circonda il pulcino non ancora nato.
Non mi toccava, io non lo temevo.
Io ero la Cometa, e tanti, in quel
momento, mi stavano osservando con lo sguardo rivolto al cielo.
Feci un ultimo saluto al mio mondo
natale, poi mi innalzai ancora.
Ripensai al giorno in cui avevo
espresso il desiderio e capii che si era appena realizzato, caro amico di un
altro pianeta .
Ho compreso dove vanno le stelle,
esattamente dove le portano i loro sogni.
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