giovedì 23 settembre 2010

Nuovo Documento di Microsoft Word


La chiamano sindrome del foglio bianco.
È quando vuoi scrivere, ma hai paura di metterti davanti ad un foglio e cominciare il tuo lavoro. L’immagine stessa del foglio pulito, immacolato, ti spaventa.
Sto soffrendo di quella sindrome, anche se io la chiamo in un modo diverso.
Sindrome da paura.
Perché vuoi iniziare a scrivere, hai delle idee, ma ti sembrano tutte una merda e pensi che le parole che scriverai non riusciranno a rendere ciò che hai in mente. E ti viene paura. Paura di stare perdendo il tuo tempo.
Ma voglio fare comunque un tentativo. Scriverò la prima cosa che mi viene in mente, senza pensare al rigurgito acido che probabilmente ne verrà fuori.
Mi torna in mente un discorso privo di senso fatto con un mio amico questo pomeriggio.
Si va a cominciare.

Il viaggio sul Torino-Milano delle 14 e 50 mi sembra come al solito interminabile. Sono su un vagone di seconda classe e sono riuscito a trovare tra la gente schiamazzante un sedile polveroso e coperto di schizzi di qualche sostanza non meglio identificata. Non mi sono portato né il lettore mp3 né libri da leggere, così mi sto annoiando a morte. Ho dormito un po’, con il rumore ripetitivo del treno sui binari che mi conciliava il sonno, ma quando il treno si è fermato mi sono subito svegliato e non sono più riuscito a riprendere sonno.
Fermata a Vercelli. Siamo a metà viaggio. Sale altra gente riempiendo ancora di più il vagone. Qualcuno scende, ma pochi. Il panorama dal mio finestrino mi ricorda una qualche ambientazione da film cyberpunk-futuristico: un impianto industriale coperto di tubi e sbuffante fumo grigiastro. I piccioni sono ovunque, si stanno tenendo vicini per scacciare il freddo. Sono comunque meno stretti di noi qui sopra.
Salgono due suore, che si siedono sul sedile di fianco al mio. Non sono le suore bianche, sono quelle con la tonaca color nero slavato, così io mi giro su un fianco e mi tocco i coglioni. Loro non mi vedono, non mi andava di prendermi già degli insulti. Da delle suore soprattutto. Mi hanno sempre fatto paura, con quelle tonache grigie e quegli sguardi torvi. Anche queste non si discostano dallo stereotipo. Non parlano, guardano solamente con aria grave davanti a loro. Una di loro ha in mano qualcosa… una foto sembra.
Una foto di Gesù Cristo.
Beh, è normale, penso. Sono suore. Sono fissate con Gesù Cristo.
Poi penso un attimo a quello che ho visto. Una foto di Gesù Cristo? Non un santino. Proprio una foto.
Allungo lo sguardo, per vedere bene. Si, è proprio una foto. Sembra un Gesù Cristo di Woodstock. Il Gesù Cristo Compagnone. Ha solo uno straccio addosso, è coperto di sangue e ha segni di tortura ovunque, ma sorride. Non un sorriso grave, ma un sorriso divertito, come se stesse sfottendo qualcuno.
Una delle suore nota cosa sto guardando, e si volta verso di me sorridendo. Il suo sorriso è falso, gli occhi sono privi di vita.
“L’abbiamo scattata pochi giorni fa. Al teatro hanno fatto un’opera basata sulla passione di Cristo. Tu credi in Gesù Cristo?”
Le parole mi escono senza pensare.
“Sì, io credo in Gesù Cristo. Credo che sia stato solo un falso profeta che si è fatto infilare un palo di tre metri nel culo dai suoi stessi apostoli, è stato così coglione da non scappare in Messico quando era ora, noi ne paghiamo ancora le conseguenze dopo 2.000 anni e quella foto è la dimostrazione di quanto lui sia divertito della cosa. Sì, credo in Gesù Cristo. Credo che sia uno stronzo.”
Le suore sgranano gli occhi e assumono un’espressione solenne e irritata allo stesso tempo.
“Satanista” bisbiglia una. Dopodiché entrambe si alzano e vanno verso un’altra carrozza.
Con un sorriso soddisfatto, mi riaddormento. Al mio risveglio sarò a Milano.

Voilà, ho scritto qualcosa. Non lo definirei neanche racconto breve. Lo definirei “una mezza cazzata”. Ed ecco ricomparire la sindrome da paura. La pagina è di nuovo bianca, bisogna ricominciare daccapo. È quello che mi fa paura. Cominciare dall’inizio, poiché è all’inizio che la strada per arrivare alla fine è più lunga. Una volta intrapresa però, questa strada va come un fulmine. Ma, ogni volta, te lo dimentichi. Così ti aspetti ogni volta una marcia lenta e molto, molto estenuante.

Nessun commento:

Posta un commento